Le idee a posto. L’antidoto al vortice del Pugliagate? Leggere Sallustio e riscoprire il “labor”

22 Apr 2024 11:17 - di Francesco Colafemmina

I recenti scandali che hanno colpito la città di Bari e più in generale il governo della regione Puglia, hanno indignato alcuni, lasciato nella solita indifferente rassegnazione altri. Tuttavia, anzitutto a chi si indigna, facendo spesso ricorso ad un pruriginoso moralismo, sarebbe più utile contrapporre la storia. In particolare, la storia della tarda Repubblica romana che offre un quadro piuttosto simile a quanto periodicamente emerge dalle inchieste che coinvolgono la politica italiana, al di là dei colori o dei luoghi. Sallustio ci ha lasciato pagine esemplari in merito alla decadenza morale dell’intera società romana quale causa della crescente corruzione politica. E sebbene lo stesso storico non fosse esente da potenziali macchie e vivesse in una delle ville più grandi, costose e prestigiose di Roma, è dal suo ragionamento che forse occorre partire per andare oltre il moralismo o la rassegnazione.

Luxuria e avaritia, sono questi i due concetti morali che secondo Sallustio portarono la Repubblica alle sue fasi finali. Dove per luxuria va intesa la passione sfrenata per il lusso, per il possesso di oggetti, immobili, beni materiali in genere, e per avaritia l’avidità smodata, la voglia di incrementare sempre più potere e denaro. Narra a tal proposito Plutarco nella Vita di Lucullo che a Roma, in quella turbolenta prima agonia della Repubblica che fu l’età di Silla, vi era una donna, tal Precia, amante dell’influente senatore Publio Cornelio Cetego, la cui abilità stava nell’ottenere per i suoi “amici” degli inauditi favori politici. Sebbene, infatti, la legge prevedesse l’attribuzione per sorteggio ai consoli eletti del governatorato delle province, e nonostante a Lucullo fosse stata assegnata la Gallia Cisalpina (l’Italia settentrionale al di là del Po), Precia riuscì ad ottenergli la ricca Cilicia, in Asia Minore. Ciò avvenne grazie al denaro. Un investimento sicuro, perché Lucullo dal governo della Cilicia e dalle relative campagne militari ne avrebbe tratto fortune immense.

Passano i millenni e ritroviamo figure di donne influenti al centro di interessi politici, compravendite di voti, feste e parties “luculliani”, la ricerca del potere come strumento per il progressivo accrescimento del patrimonio personale e del proprio benessere materiale. E anche il caso dell’ex assessore regionale pugliese che si sarebbe fatto regalare una cucina da 14mila euro ricorda un po’ la storia del tavolo di legno di cedro di Cicerone del valore di mezzo milione di sesterzi. E come oggi le donazioni verrebbero da imprenditori agevolati nell’ottenimento di finanziamenti pubblici, così anche l’arpinate si ritrovava spesso regali o denaro che non erano altro che compensi per le sue prestazioni forensi. Compensi vietati dalla legge, ma sovente aggirati e usati per creare consenso elettorale. E più grandioso era lo stile di vita del politico più crescevano le donazioni e i consensi. Sicché lo stesso Cicerone che aveva combattuto il personaggio che per Sallustio incarnava la decadenza morale dell’epoca, Catilina, si ritrovò proprio in quegli anni fortemente indebitato per l’acquisto della villa di Crasso sul Palatino per la cifra astronomica di tre milioni e mezzo di sesterzi. Tanto da confessare al suo amico Publio Sestio: “ho una tale necessità di denaro che sarei disposto ad entrare in una congiura se qualcuno mi ammettesse!”. In realtà per acquistarla aveva ottenuto un “prestito segreto” da un suo patrocinato, Publio Cornelio Silla, di almeno due milioni di sesterzi.

Tornando a Sallustio – che pure discettava di moralità dai suoi sontuosi Horti Sallustianiquali sarebbero le ragioni di un simile degrado della politica? Per lo storico il centro nevralgico è il rapporto fra denaro e potere: la decadenza avviene quando il denaro fa l’onore dell’individuo sostituendosi ai valori tradizionali. Valori che per lo storico consistono, fra l’altro, in labor e iustitia. D’altronde sappiamo bene che spesso la politica è considerata una facile scorciatoia rispetto ad un giusto lavoro o a un’impresa professionale che comporta fatica – il labor appunto. Molto meglio vivere in un mondo fatato che offre potere e denaro, visibilità e soddisfacimento del proprio piacere. E in tutto ciò il servizio, l’interesse collettivo, l’attenzione a riequilibrare le storture dell’ambizione privata nella società, finiscono per diventare meri paraventi retorici, perché, in fondo, il “popolo” è ormai radicalmente abituato a ricercare il proprio interesse particolare, se solo gliene si presenti l’occasione, e ad ammirare nel politico il potere e il denaro che ne consegue. Perciò, come Sallustio individua nella corruzione giovanile di Catilina i germi del vizio di un’intera società, allo stesso modo occorre pensare che è proprio nel rapporto con le giovani generazioni che risiede la potenziale cura dei mali.

Al moralismo e al fatalismo occorre, infatti, contrapporre l’esempio. Perché i modelli ai quali orientare la vita delle nuove generazioni non possono essere esclusivamente quelli deteriori di adulti interessati al potere, al denaro, ai followers, alla visibilità narcisistica. Occorre fornire esempi e modelli di vita, e di vita politica, fondati sul lavoro e la giustizia, sull’altruismo e i valori che uniscono la società e non la riducono all’ambiziosa lotta fra factiones. Soprattutto, occorre riconoscere che la fine dei partiti politici come scuole di socialità e la loro trasformazione, grazie ai listini bloccati, in scuole di obbedienza e fedeltà al “capo”, hanno reso assai più inefficaci gli antidoti ad una corruzione dilagante ma sempre più tollerata dopo qualche dose di paludata indignazione. Nel frattempo, però, ci basterebbe studiare un po’ più la storia per comprendere come, al di là del progresso, delle acquisizioni scientifiche o tecniche, l’essere umano resti sempre uguale a se stesso in ogni epoca. Perciò, senza arrendersi alla natura umana, occorre illuminarla sempre, attraverso il faro dei valori immateriali che ci giungono dall’antichità.

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