Franco Di Mare: “Mi resta poco da vivere: ho il mesotelioma, un tumore molto aggressivo”

29 Apr 2024 9:55 - di Agnese Russo
franco di mare

“Mi sono preso il mesotelioma, un tumore molto cattivo”. Franco Di Mare lo ha raccontato ieri sera a Che tempo che fa e ci è tornato oggi in una lunga intervista al Corriere della sera nella quale, alla vigilia dell’uscita del suo libro Le parole per dirlo (Sem, Feltrinelli), ripercorre le tappe dalla diagnosi alla recidiva, fino all’affermazione che “io non sono la mia malattia”.

Franco Di Mare: “Ho il mesotelioma, un tumore molto cattivo”

Il tumore, ha chiarito, è “legato alla presenza di amianto nell’aria e si prende tramite la respirazione di parcelle di amianto, senza rendersene conto”. “Questo tubicino che mi corre sul viso è un tubicino legato a un respiratore automatico e mi permette di respirare in modo forzato, ma mi permette di essere qui a raccontare, a parlare con te”, ha spiegato in tv, facendo riferimento all’ossigeno di cui, allo stato attuale, ha bisogno anche di giorno. “Ho avuto una vita bellissima. Le memorie che ho sono memorie piene di vita. Non voglio fossilizzarmi attorno all’idea di morte. Mi voglio legare all’idea che c’è la vita. Quello che mi dispiace tanto è scoprirlo solo adesso. Non è ancora tardi”, ha detto ancora Franco di Mare.

“Perché a me? Perché sono stato a lungo nei Balcani”

Al Corriere ha raccontato di quanto il medico tre anni fa gli ha detto che “in questo momento vorrei tanto essere l’animatore di un villaggio e non un dottore. Hai un mesotelioma.
Aggressivo”. “Alto grado”, è stata la diagnosi. “Quando ero piccolo, in famiglia si abbassava la voce: ‘Quella persona ha un brutto male’. Come se, nominandolo, il mostro ti entrasse in casa. Io invece sono diretto. Ho un cancro. Oggi ci si cura e spesso si guarisce. Da questo no. Non se ne va, al massimo lo puoi rallentare, ma resta lì ed è uno dei più cattivi”, ha spiegato il giornalista, che alla domanda “perché a me?” risponde “perché sono stato a lungo nei Balcani, tra proiettili all’uranio impoverito, iper-veloci, iper-distruttivi, capaci di buttare giù un edificio. Ogni esplosione liberava nell’aria infinite particelle di amianto. Ne bastava una. Seimila volte più leggera di un capello. Magari l’ho incontrata proprio a Sarajevo, nel luglio del 1992, la mia prima missione. O all’ultima, nel 2000, chissà. Non potevo saperlo, ma avevo respirato la morte. Il periodo di incubazione può durare anche 30 anni. Eccoci”.

Esce il libro “Le parole per dirlo”: “È il mio testamento. Senza pietismo”

Il libro Le parole per dirlo Di Mare l’ha scritto per “raccontare le guerre fuori da me e quella dentro di me. Un piccolo dizionario esistenziale. Senza pietismo. È il mio testamento”, ha spiegato, raccontando come tutto sia partito da “una fitta terribile (che) mi è esplosa tra le scapole, una coltellata”. Poi il polmone destro collassato, la diagnosi inattesa e “che non mi lascia scampo”, le prime cure, la recidiva sei mesi fa e la necessità del supporto per respirare. Il momento più brutto di questi tre anni, però, è stato “dover dire a chi ami che il male è curabile ma non risolvibile. Puoi allungare il termine del giorno, non procrastinarlo all’infinito. Il tempo che abbiamo è prezioso, te ne accorgi solo quando te ne stai andando. E decidi di non sprecarne più nemmeno un istante”. Di Mare ha parlato anche della sensazione di abbandono da parte della Rai, per non aver avuto, ha detto, alcuna risposta al suo tentativo di ottenere lo stato di servizio.

Franco Di Mare: “Nessun rimpianto, ho avuto la fortuna di fare il lavoro che sognavo e di vivere cento vite”

Nessun rimpianto, comunque: “Ho avuto la fortuna di fare il lavoro che sognavo, di vivere cento vite”. E anche adesso “faccio una vita bellissima, sa? Sto con le persone che amo. Le mie care sorelle. Sono protetto e accudito, mi sento un piccolo sultano. Ci fissiamo sempre col primo amore – il mio, al liceo, fu una ballerina del San Carlo – ma il più importante è l’ultimo, che ti accompagna nei passi finali. Per me è Giulia. Stiamo insieme da otto anni. Tra noi ce ne sono più di 30 di differenza, prima si notava meno”. E “il calendario lo guarda mai?”, ha chiesto Giovanna Cavalli che firma l’intervista. “No, il 28 luglio compirò 69 anni, ma non so se ci arrivo. Forse sì. Sono sereno, non ho paura. Mi spaventa l’idea della sofferenza, però sono andato a una dozzina di funerali di colleghi più giovani di me. E sono vivo per miracolo. Durante una sparatoria tra bande in Albania, un proiettile mi è passato dietro al collo. Non sono morto perché mi sono chinato a prendere una batteria nella borsa. Mi ritengo un uomo fortunato”.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *