Solita doppia morale del Pd su Al Sisi: con lui trattò Draghi e all’epoca non si indignarono per Regeni
L’indignazione a targhe alterne è un vecchio mantra della sinistra italiana: altamente specializzata poi, soprattutto quando è all’opposizione, nella doppia morale. Capita così che Elly Schlein, nelle dichiarazioni di voto sulle comunicazioni della premier in vista del Consiglio Europeo, non abbia trovato di meglio che chiedere a Giorgia Meloni – in piena crisi mediorientale – di riaprire una crisi diplomatica con l’Egitto per il caso Regeni. «Quando discute con i partner internazionali – ha tuonato alla Camera la segretaria Pd –, non dimentichi l’interesse nazionale e i diritti umani: quando va in Egitto, anziché offrire fondi per bloccare le partenze in un Paese che non è sicuro né per gli egiziani né per tutti gli altri, pretenda da Al Sisi gli indirizzi dei quattro imputati al processo per le torture e l’omicidio di Giulio Regeni, ricercatore italiano e ricercatore europeo». Un’uscita ad alto tasso di demagogia, buona solo a prendere gli applausi della claque parlamentare al seguito. Non certo a risolvere un problema di «giustizia e verità», per il giovane studioso ucciso nel 2016, sul quale la premier ha ribadito il suo massimo impegno: potendo portare, a differenza di chi l’accusa, risultati concreti con l’Egitto come la scarcerazione di Patrick Zaki.
Ma il punto qui non è rispondere alle uscite da assemblea studentesca della Schlein, quanto chiedere a quest’ultima perché questo tipo di richiesta emerga solo adesso nei confronti della premier di destra. Non si ricordano strali di Elly & co (né dei tipi della “ditta”), ad esempio, quando l’allora governo Draghi, di cui il Pd era azionista politico devoto, tornava a fare affare con Al Sisi per smarcarsi dal gas russo. Parliamo di tre anni fa: tempi in cui la ferita per l’omicidio di Giulio Regeni era onnipresente nel dibattito pubblico e nelle facciate di tantissimi comuni italiani. Allora però la realpolitik – o meglio il governismo – regnava incontrastato nel breviario del Nazareno. Tradotto: da quelle parti la regola imposta era quella del silenzio assenzo.
Attenzione: non si è trattato di certo di un episodio isolato, frutto di una situazione “eccezionale” come la crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. Se è risaputo il debole ideologico della sinistra per il Venezuela del dittatore Maduro o la fascinazione tutta giallo-rossa per la nuova via della Seta cinese (raffinato strumento di soft power del regime di Pechino), l’esempio per eccellenza di governo Pd più realista dell’attuale lo dona proprio la Russia. Come non citare il record del governo di Enrico Letta (nonché predecessore di Schlein alla segreteria) con Vladimir Putin in persona? A quell’esecutivo la storia ha assegnato la palma degli accordi commerciali ed energetici più cospicui e penetranti con la Federazione russa. Non solo: in piena crisi del Donbass, siamo nel 2014, proprio all’ex premier non volle mancare – unico leader occidentale (ai tempi Obama disertò sprezzante nei confronti dell’autocrate russo) – alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi invernali di Sochi. Un gesto sul quale sarebbe interessante carpire l’opinione dell’attuale reggente Pd: i regimi sono tali solo quando governano gli altri? E i diritti umani, invece, sono “meno umani” quando tocca a uno dei loro?