Quelli che odiano la bellezza. Gli eco-vandali?
I figliocci della “dottrina Ždanov”

4 Mar 2024 8:43 - di Antonio Rapisarda

Uno dei passi più celebri di Ernst Jünger ha impresso una sentenza divenuta un manifesto: «Profondo è l’odio che l’animo volgare nutre contro la bellezza». Guardando e riguardando le “gesta” degli eco-vandali di Ultima generazione – protagonisti ieri dell’ennesima irruzione agli Uffizi, stavolta contro la Primavera di Botticelli – non ci si può non chiedere perché si ostinano ad accanirsi proprio contro ciò che rappresenta il bello. Quale istinto «volgare» li spinga a violare il sancta sanctorum: al di là della retorica spicciola e della ricerca di visibilità.

La risposta è semplice ed è sedimentata nella loro visione del mondo. Che non è frutto – come potrebbe sembrare – dell’immaginario post-apocalicattico che denunciano come imminente. Al contrario di come si pensa, il loro sistema di valori è radicato in un preciso ordine logico, non naturale, aggiornato e riveduto ai tempi: quello sovietico. Già, la loro visione è socialista e distopica. Quella per cui «la salvezza del mondo» passa necessariamente non dalla liberazione dalle macchine ma dall’omologazione al “mondo nuovo” grigio (e comunque industriale): che loro edulcorano chiamandolo green.

Costoro dunque attaccano l’arte, il bello, semplicemente perché queste appaiono come forme specifiche di sovrastruttura. A maggior ragione quando queste opere d’arte cristallizzano non solo i rapporti di forza ma una visione dionisiaca – per loro intimamente borghese – della vita. Che prende le mosse da un richiamo interiore considerato evidentemente insopportabile: la libertà.

Sporcare, oscurare fino a “cancellare” la bellezza, insomma, è una sorta di talebanesimo rivoluzionario. Di qui l’odio. Odio per la luce unica che viene dal genio individuale: dalla creatività irriducibile al tempo e allo spazio. Troppo per la loro “dottrina Ždanov”, la nuova (vecchia) morale universale: oggi tutta carne sintetica, dirigismo elettrico e fanatismo rosso-verde. Una morale artificiale e standardizzata. Non più nei soviet ma in laboratorio.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *