La sindaca di Monfalcone: “L’islamizzazione va frenata, qui anche le bambine vanno col velo”

24 Mar 2024 12:11 - di Redazione
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Dopo l’attentato dell’Isis a Mosca, la sindaca “anti-moschee” di Monfalcone, Anna Maria Cisint, ribadisce all’Adnkronos la sua posizione sul pericolo dell’islamizzazione in Italia, grazie anche alla sinistra.

“Personalmente – dice la sindaca di Monfalcone a due giorni dalla strage di Mosca, rivendicata dall’Isis – vivo malissimo tutto ciò che ha a che vedere con la consapevolezza che siamo un po’ tutti a rischio e ciò che è successo a Mosca, in Francia e un po’ ovunque, è la dimostrazione della pericolosità del pensiero unico di questa sinistra, dell’idea di porte aperte, spalancate, quando si richiama l’urgenza di porre attenzione particolare rispetto agli sbarchi e ai luoghi di ritrovo. Dopo gli approfondimenti che ho fatto – dice la Cisint – ho appurato che ci sono finanziamenti dal Qatar, dal Marocco, e per la realizzazione di moschee non c’è una mappatura, nonostante si parli di luoghi potenzialmente ritrovi di terroristi”.

Per la sindaca di Monfalcone occorre quindi porre un freno alla “islamizzazione” in corso. Costretta a vivere sotto scorta a seguito delle minacce di morte ricevute da parte di estremisti islamici, il primo cittadino del comune in provincia di Gorizia ha raccontato la sua battaglia politica in un libro, ‘Ora basta. Immigrazione, islamizzazione, sottomissione’, edito da Signs Publishing. La partecipazione del sindaco di Bologna Matteo Lepore all’evento ‘Iftar Street’ organizzato dalla locale comunità islamica in piazza Lucio Dalla, lei – dice sicura – “l’avrebbe evitata”.

Cisint vive sotto scorta dopo le minacce dei fondamentalisti islamici

“Siamo messi davvero male – commenta Cisint – Va bene condividere le feste, però dobbiamo stare tanto attenti, stiamo arretrando. È quasi diventata una triste moda, soprattutto negli ultimi anni, quella di cedere il passo, di scegliere di stare da un’altra parte rispetto all’Italia da parte di persone che, principalmente a sinistra, stanno optando per diventare qualcos’altro ed è incomprensibile. Credo ci sia un tentativo da parte della sinistra di trarre un vantaggio futuro, politico, di voto, agganciando un segmento per riuscire ad avere qualcosa di più a livello di consensi. Rischiamo però da tanti punti di vista di scomparire”.

E spiega: “Nel Comune che amministro si registra il 33% di immigrazione di cui il 22% è musulmano, il 75% delle donne musulmane è completamente velato, le bambine vanno a scuola con il velo integrale. L’integrazione dovrebbe essere secondo me un’altra cosa. Non è la festa in sé, ma riuscire a far sì che la tua città in quel momento diventi qualcos’altro non è integrazione, è sottomissione. Oltretutto le comunità musulmane che da sette anni affronto non hanno alcuna intenzione di integrarsi, nemmeno parlano italiano. Per queste comunità musulmane – da me è così – se la legge italiana contraddice quella coranica loro non hanno dubbi e applicano la seconda”.

I numeri della sindaca di Monfalcone: su 6600 residenti islamici lavorano solo 8 donne

Cisint porta dati per raccontare la sua personale battaglia per un’integrazione ‘giusta’. “Il 95% del welfare del bilancio del comune di Monfalcone è destinato agli extracomunitari, ai quali va anche il 75% degli alloggi – dice la sindaca – Abbiamo cercato di lavorare tanto sulla scuola, abbiamo costruito asili. In sette anni ho incontrato le comunità islamiche almeno otto, nove volte. Avevo solo chiesto in cambio di lavorare per la parità di genere, senza successo. A Monfalcone lavorano 8 donne musulmane su 6.600 residenti, perché l’idea è che le donne stanno a casa, non parlano italiano, fanno figli. Ho cercato di portare avanti senza successo una parità di ruolo, di rapporti, almeno per fare in modo che pian piano si levino il velo integrale. La situazione è invece peggiorata, perché gli islamici sono cresciuti come numero e ritengono di non avere doveri. Oltretutto è grave che, al contrario delle altre religioni, le comunità musulmane non abbiano mai voluto sottoscrivere una intesa, non accettando alcuni obblighi che la legge italiana impone. Con le altre provenienze, come le famiglie romene o cinesi, non abbiamo mai avuto problemi”.

Tuttavia, nella battaglia che ha raccontato nel libro e che la vede impegnata in prima persona, assicura, “io non mi sento sola, c’è molto da fare, credo ci sia bisogno di una revisione normativa rispetto alla necessità di avere un’intesa con gli islamici, perché servono delle regole e trovo molto grave il fatto che non ci sia una mappatura delle moschee. Ma il sindaco di Grosseto, quello di Cantù, e poi consiglieri di minoranza, tanta gente comune mi sostiene e mi scrive, tutte le persone che mi incontrano mi chiedono di non mollare. Io penso che questa sia una battaglia giusta e per questo la porto avanti”.

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