Eiar Eiar Alalà, cosa ascoltavano gli italiani durante il ventennio fascista. Inni, marce e brani d’amore

17 Mar 2024 10:03 - di Vincenzo Fratta
Eiar Eiar Alalà

Nel 2024 la radio in Italia compie 100 anni. Per molto tempo la parte preponderante della programmazione è stata naturalmente la musica. Le canzoni trasmesse dalla radio nei due decenni 1924-1944 sono ora analizzate nel volume di Franco Zanetti e Federico Pistone, Eiar Eiar Alalà, edito da Baldini+Castoldi. Il titolo del libro, spiegano gli autori, è una citazione storica. Eiar era l’acronimo di Ente italiano audizione radiofoniche – denominazione della futura Rai – e Alalà era il motto creato da Gabriele D’Annunzio in risposta all’anglofilo hip hip urrà.

Il motto dannunziano

Un riferimento colto che il Vate degli Italiani aveva composto unendo Eia – l’incitamento di Alessandro Magno al suo cavallo Bucefalo durante una carica – con Alalà, la divinità greca demone della guerra, già richiamata in alcuni versi da Pascoli e Carducci. Il fascismo aveva compreso immediatamente l’importanza del nuovo mezzo di comunicazione di massa e ne aveva fatto subito il proprio megafono. Così gli oppositori al regime che si stava consolidando coniarono ironicamente l’espressione Eiar Eiar Alalà. Il libro, arricchito dai contributi di Riccardo Bertoncelli, Vincenzo Mollica e da un’intervista a Francesco Guccini, prende in esame 130 brani musicali che abbracciano tutto lo spettro di una programmazione che fu abbondante e, spesso, qualitativamente pregevole. Un repertorio costituito da canzoni romantiche che parlano di amori appena nati o già terminati, da brani che esprimono la nostalgia degli emigrati per la propria terra lontana, o da semplici e quasi surreali filastrocche. E poi, naturalmente, dalle canzoni politiche e dagli inni ufficiali del fascismo.

Genesi e fortuna di 130 canzoni

Le schede delle canzoni non si limitano a indicare gli autori, gli interpreti originali e, per i molti brani sopravvissuti allo spartiacque del conflitto mondiale, le reinterpretazioni successive. Viene raccontata la genesi e il significato di ogni canzone e vengono proposte le strofe più significative. Le trentadue pagine centrali a colori introducono anche visivamente all’atmosfera dell’epoca mostrando le locandine originali che accompagnavano l’uscita delle canzoni. Il risultato, osservano gli autori nell’introduzione a Eiar Eiar Alalà, è «una galleria cronologica di brani musicali attraverso i quali si legge anche, in filigrana, la storia degli anni in cui essi hanno accompagnato, attraverso la radio, la vita quotidiana degli italiani».

Tra i brani analizzati nel libro sono numerose le canzoni napoletane, quasi tutte reinterpretate con successo nel dopoguerra, fra le quali: Agata lanciata nel 1937 da Nino Taranto e trasformata in un disco da un milione di copie da Nino Ferrer nel 1969. Chiove del 1923 reinterpretata nel 1947 da Roberto Murolo e poi da Peppino di Capri e da Milva. Dicitencello vuje successo del 1930 con le parole del poeta Enzo Fusco e musiche di Rodolfo Falvo, diventata una delle canzoni più conosciute, ascoltate e intonate a livello planetario, oggetto di infinite interpretazioni che giungono fino ai giorni nostri. Sul tema della nostalgia degli immigrati napoletani in America c’è Lacreme napulitane del 1925 ricantata con successo nel dopoguerra e nel 1981 trasformata in sceneggiata napoletana da Mario Merola. Na sera ‘e maggio successo del 1937 riproposto nel dopoguerra da una lunga lista di cantanti fra i quali Aurelio Ferro e Beniamino Gigli, Claudio Villa e Roberto Murolo, Iva Zanicchi e Orietta Berti, Albano e Renzo Arbore, Fausto Leali e Mina.

In romanesco, tra le altre, Chitarra romana del 1935, riportata al successo da Claudio Villa nel 1958 e cantata poi da Lando Fiorini e Gabriella Ferri. Dove sta Zazà lanciata nel 1944 da Nino Taranto e ricantata da diversi interpreti fino alla magistrale versione di Gabriella Ferri del 1971. Tanto pe’ cantà del 1932 resa nuovamente celebre dall’interpretazione di Nino Manfredi del 1970. Sempre sulla nostalgia della patria lontana è il brano Porta un bacione a Firenze del 1937, cantato nel 1971 da Nada.

I brani più romantici

Tra le canzoni evergreen, ricantate nel dopoguerra e fino agli anni Settanta conosciute praticamente da tutti, vanno incluse almeno le romantiche: Non ti scordar di meParlami d’amore MariùUn’ora sola ti vorreiViolino tziganoNon ti dimenticar le mie parole. Tra i successi che hanno marcato i primi venti anni della radio italiana va citata anche Mamma del 1939, un brano poco spendibile nel dopoguerra ma pur riproposto da Pavarotti nel 1984. E Mille lire al mese del 1938 che rispecchiava i sogni di stabilità sociale dell’italiano medio. Non mancano i numerosi brani frivoli e spensierati come CiribiribinFiorin FiorelloTuli-tuli-panMaramao perché sei mortoPippo non lo sa, fino al celebre Gastone, scritto e interpretato da Ettore Petrolini.

Le canzoni fasciste

Tra le canzoni fasciste incluse in Eiar Eiar Alalà ci sono tra le altre Battaglioni MCamerata RichardFaccetta NeraFischia il sassoGiovinezza!Inno dei giovani fascisti (all’armi)Inno della X MasLa canzone dei sommergibilistiLa sagra di GiarabubTi saluto (Vado in Abissinia)Vincere! Vincere! Vincere!. Sono canzoni che nel dopoguerra continuavano ad essere cantate in famiglia o nell’ambito comunitario legato all’ambiente dei reduci e dei militanti del Movimento Sociale Italiano. Anche i giovani di destra nati dopo il fascismo le conoscono e le cantano almeno fino agli anni Ottanta, quando i legami nostalgici vengono pian piano sostituiti da un nuovo protagonismo politico. Si scrivono nuove canzoni e nascono gruppi che suonano altri generi musicali. Universalmente note sono certamente Giovinezza del 1925 vero e proprio inno ufficiale del movimento di Mussolini e Faccetta Nera del 1935, la marcetta che divenne il simbolo della conquista italiana dell’Abissinia, l’attuale Etiopia. Lasciamo al lettore interessato la scoperta della genesi, del contesto e della fortuna di questi brani. Ne ricordiamo però tre che non abbiamo inserito nel precedente elenco: Inno a RomaLili Marlen e Come folgore dal cielo.

L’Inno Roma

L’Inno a Roma costituisce un tramite diretto con la Roma imperiale, in quanto l’autore del testo Fausto Salvatori trasforma in canzone alcuni versi del Carmen Saeculare del poeta latino Orazio, scritto per l’imperatore Augusto nel 17 avanti Cristo. Siamo nel 1919, il medesimo anno di fondazione dei Fasci di combattimento. Il Sindaco della Capitale che ha apprezzato le strofe di Salvatori, chiede al grande compositore Giacomo Puccini di comporne la musica.

Nella sua devozione alla dea Roma e ai suoi antichi fasti, ma anche nella sua esaltazione dei valori italici, dai grandi dell’arte e della cultura fino ai più umili trasformano subito l’Inno a Roma nella colonna sonora del fascismo, che ne affida l’interpretazione ufficiale al tenore Beniamino Gigli. Nel dopoguerra, il rifiuto aprioristico di ogni cosa che richiami il deprecato Ventennio, fa sì che l’Inno a Roma sia cantato unicamente in piazza del Popolo in occasione dei grandi comizi del Msi di Giorgio Almirante. Tuttavia, passato ormai mezzo secolo, l’Inno a Roma risorge. Viene prima riproposto nei festival pucciniani e nei repertori dei protagonisti della lirica, come Placido Domingo. Poi sarà Andrea Bocelli nel 2017 a consacrarlo con una superba interpretazione di fronte al pubblico del Colosseo e a milioni di telespettatori Rai.

Lili Marlen e Come folgore dal cielo

Composta dal musicista tedesco Norbert Schultze nel 1941 e portata al successo dalla cantante Lale Andersen, Lili Marlen supera ogni confine e diviene la canzone dei soldati impegnati su tutti i fronti di guerra. Viene infatti tradotta in 42 lingue. La versione italiana è realizzata da Nino Rastelli, apprezzato autore di Pippo non lo sa e Adua. Nel 1944 la tedesca naturalizzata statunitense Marlene Dietrich ne farà una leggendaria versione languida e passionale.

Come folgore dal cielo è meno nota rispetto alle due canzoni precedenti. Nasce nel 1941 per celebrare il valore dei paracadutisti della Folgore che si sono battuti valorosamente in Africa contro il preponderante esercito inglese. I suoi autori, Ferrante Alvaro de Torres e Alberto Simeoni, con la musica di Mario Ruccione, hanno già all’attivo due canzoni importanti come Camerata Richard e La sagra di Giarabub.

«Sulla trascinante marcetta di Ruccione – spiegano gli autori di Eiar Eiar Alalà – si snoda il testo di de Torres e Simeoni che alterna particolari ‘tecnici’ (aggancia la fune di vincolo, spalanca nel vento la botola) a immagini di enfatico e plastico orgoglio (assumi la forma di un angelo e via per tuo novo destin) fino al morbido ritornello: Come folgore dal cielo canta il motto della gloria / Come nembo di tempesta precediamo la vittoria». Proprio il valore dei ragazzi della Folgore, medaglia d’oro al Valor militare, ai quali la canzone è dedicata, fa sì che la canzone sopravviva al conflitto mondiale divenendo l’inno dei paracadutisti italiani.

 

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