Angelo Mancia, 44 anni fa il suo brutale, vile assassinio: dolore e ricordo sono sempre vivi
Il 12 marzo 1980 è un giorno di morte, di sangue, di violenza politica che non conosceva limiti, di atrocità inimmaginabili che sembravano allora normali. Quel maledetto mercoledì di 44 anni fa Angelo Mancia, un ragazzone di 27 anni che lavora come fattorino al Secolo d’Italia ed è segretario della sezione del Msi-Dn del quartiere Talenti, esce di casa per andare al lavoro: ma non ci arriverà mai. Lo aspettano tutta la notte a bordo di un pulmino parcheggiato nei pressi della sua abitazione. Quando Angelo si avvicina al motorino per andare a lavorare, verso le otto e mezzo, i terroristi gli sparano. Angelo tenta di tornare indietro, ma è troppo tardi: lo finiscono con un colpo alla nuca, nello stile consueto della vera “Volante rossa”, quella che operò dopo la guerra nel Nord Italia, assassinando avversari politici e gente comune.
Angelo Mancia, 44 anni fa il suo brutale assassinio
Una esecuzione brutale, quella di cui è stato vittima l’allora 27enne Angelo Mancia. In due lo aspettano fuori dal portone del suo palazzo. Lui si sente chiamare, e solo alla fine del vialetto che sta percorrendo vede le pistole… E capisce. Tenta di tornare indietro per rientrare al coperto, ma gli sparano a sangue freddo. E dopo pochi passi Angelo cade a terra, colpito da due colpi. È esanime, indifeso, quando uno dei due assassini gli si avvicina e infligge il colpo di grazia alla nuca: nello stile consueto della vera “Volante rossa”. Mancia cadde a terra in un lago di sangue: è un’esecuzione con tecnica gappista e i due killer vogliono essere sicuri di averlo ucciso… Mancia non era un bersaglio facile. Il fattorino del “Secolo d’Italia”, era un ragazzone robusto e coraggioso. Un generoso attivista sempre disponibile. Il classico amicone di tutti, segretario della sezione Talenti. Aveva solo 27 anni: e il suo è un omicidio spietato rimasto impunito. Nessuno dei suoi assassini è stato individuato.
La rivendicazione della “Volante rossa”
I Compagni Organizzati in “Volante Rossa” sono rimasti totalmente sconosciuti al punto che si ignora se fossero effettivamente “compagni” (in un libro scritto da ex brigatisti rossi non sono neppure citati tra i gruppi terroristici di estrema sinistra). Oppure direttamente espressione di chi aveva interesse che gli opposti estremismi continuassero a scontrarsi duramente e a combattersi nelle strade e nelle piazze. Due ore dopo il brutale omicidio arrivò la rivendicazione farneticante a Repubblica: «Qui compagni organizzati in Volante Rossa. Abbiamo ucciso noi il boia Mancia. Siamo scesi da un pulmino posteggiato lì davanti». Nel 1951 gli assassini della “Volante rossa” partigiana furono condannati all’ergastolo, ma erano già tutti latitanti, e di loro non si seppe più nulla…
L’incubo degli anni di piombo
Oggi quei giorni tornano prepotentemente in primo piano, nei racconti di chi lo ha conosciuto e amato. Nelle foto, nelle parole, nel dolore e nella rabbia di chi la sua storia l’ha vissuta o anche solo sentita raccontare. Il ricordo di Angelo è tenuto sempre vivo. La sezione di Via Etruria a Roma è da sempre a lui intitolata. C’è una targa a suo nome, ed ogni anno il 12 marzo si commemora con corone e fiori il vile, brutale assassinio, rimasto impunito. Non solo. Al ricordo del militante missino la cui vita è stata stroncata ad appena 27 anni ha dedicato moltissimi articoli sul Secolo d’Italia il collega Antonio Pannullo. Autore di una serie di volumi dal titolo “Attivisti”, che quegli anni li conosce e li ha studiati bene.
Quel terribile mercoledì 12 marzo
«In quel 1980 non passava praticamente giorno senza che accadesse qualcosa di brutto ai danni dei giovani del Fronte della Gioventù. “Uccidere un fascista non è reato” era diventata la legge di quel periodo. E la sinistra estrema, l’Autonomia, Lotta continua, i collettivi e tutti gli altri avevano deciso che era ora di farla finita con i fascisti, con qualunque mezzo e ad ogni costo». Questo il clima ricostruito da Pannullo in uno dei tanti articoli. Questa l’atmosfera che fece da cornice e da sfondo all’omicidio.
Angelo Mancia, un omicidio impunito
Gli anni 1979-1980 sono “anni di piombo” in cui il terrorismo imperversa e “gambizzare” diventa purtroppo un termine quotidiano. Prima di uscire di casa si ascolta la radio per sapere chi è stato colpito quella mattina. Nei primi mesi del 1980 una media di tre, quattro attentati al giorno, contro obiettivi diversi e talvolta imprevedibili. Infatti oltre alle caserme dei carabinieri, i commissariati di polizia, le sezioni dei partiti e le abitazioni dei “nemici” troviamo anche scuole e persino un asilo-nido. In questo clima si inserisce tra febbraio e marzo, una serie di attentati e omicidi tutti rimasti senza colpevoli, come se fosse stata opera di fantasmi spariti nel nulla e di cui nessuno, anche a distanza di più di 40 anni, ha sentito parlare. E la domanda, sempre la stessa, insieme a tante altre, resta nell’aria, senza risposta: chi ha ucciso Angelo Mancia?