Verso l’8 marzo. Le “straordinarie” secondo noi. Ilaria Salamandra, la mamma-avvocato che sfidò il Tribunale di Roma
Ilaria Salamandra ha 40 anni, due figli piccoli, è un avvocato penalista. È un’attivista per i diritti delle donne, benché lei forse non si definirebbe così. La sua attenzione va, in particolare, alle vittime di quelle forme di violenza strisciante che talvolta precedono la violenza fisica e più spesso la aggirano, mortificando le possibilità, creando condizionamenti che paralizzano, colpendo la libertà di essere e di realizzarsi.
Come avvocato, Salamandra si dedica anche al volontariato: presta la sua professionalità allo sportello “SocioDonna” che ha “l’obiettivo di creare una rete di ascolto” soprattutto per “le donne vittime inconsapevoli di narcisisti, prede di condizionamento operante e senza indicazioni sul come uscirne”. Si tratta, insomma, di un impegno che mira principalmente a una presa di coscienza, a un cambio di mentalità prima di tutto da parte delle donne. Di questi tempi c’è tutto un filone di pensiero femminista che sembra lo consideri quasi una concessione al patriarcato, perché, si dice, “sono gli uomini che devono cambiare”. Il che è certamente vero, ma messa in quei termini comporta anche il passaggio logico di una delega alla responsabilità verso se stesse e, in fin dei conti, un cedimento di potere che va in cortocircuito con la rivendicazione dell’autodeterminazione.
Quanto a Ilaria Salamandra le cronache italiane l’hanno conosciuta proprio per una ribellione personale a un condizionamento operante: è l’avvocato-mamma del Foro di Roma che, con un video sui social, denunciò di essere stata vittima, ricorda ora, di una “ingiustizia personale e professionale da parte del Tribunale”: aveva chiesto il rinvio di un’udienza perché il figlio di due anni doveva essere sottoposto a un esame medico invasivo in sedazione profonda, ma non le venne accordato perché per il Tribunale quella motivazione non costituiva di per sé “legittimo impedimento”.
Da quel video, che ebbe un’eco mediatica inedita per questioni attinenti i diritti degli avvocati, sono scaturite precisazioni del Tribunale, interrogazioni, risposte del governo, repliche della stessa Salamandra, in uno di quei casi in cui non si capisce fino in fondo quanto incidano e si aggroviglino la burocrazia, la mancanza di sensibilità o il sostrato culturale. Ciò che è certo è che molte colleghe, l’Ordine degli avvocati di Roma e il Consiglio nazionale forense le manifestarono solidarietà e che lei accese i riflettori sul tema spesso dibattuto e rapidamente dimenticato dell’enorme difficoltà che le libere professioniste incontrano nel conciliare maternità e lavoro, ancora di più delle altre mamme lavoratrici.
Di lì a stretto giro in Parlamento è arrivato un disegno di legge che integra fra le ragioni del legittimo impedimento del difensore anche “le comprovate condizioni di salute dei figli o di altri familiari”. Allo stato attuale la “legge Salamandra”, come andrebbe chiamata, è in Commissione. Al di là dell’intervento normativo, sul quale si è aperta una riflessione, però, l’auspicio è che il messaggio culturale che porta possa intanto essere arrivato ai tribunali, e agli luoghi in cui possono determinarsi situazioni simili. L’avvocato-mamma comunque è decisa a non fermarsi qua e a dare seguito alla sua sensibilità per le tematiche sociali fondando un’associazione di mamme-professioniste “che intendono – ha spiegato al Secolo – rivendicare più diritti a tutela della maternità e che accenda i riflettori della ‘violenza istituzionale’ che troppo spesso sono costrette a subire nei luoghi di lavoro”.