Ponte sullo Stretto: anche i castelli del Medioevo erano considerati uno sfregio al paesaggio…

25 Feb 2024 9:27 - di Francesco Mattioli

In una celebre lezione introduttiva sulla sociologia, da me seguita con particolare interesse in un giorno imprecisato del 1968, Franco Ferrarotti osservò che il sociologo è uno scienziato con mille grattacapi. Intanto, c‘è chi mette in dubbio che la sociologia sia una scienza, basandosi sulla sua derivazione dalla millenaria tradizione del pensiero filosofico-sociale e traendo sostegno dalla disgraziata affermazione di Benedetto Croce che la sociologia non esiste, perché è riconducibile all‘economia, al diritto o alla psicologia. Un secondo problema è dato dal fatto che si tratta comunque di una scienza che affronta l‘intera esperienza del vissuto umano, quindi ha a che fare con qualsiasi impresa: sia essa economica, commerciale, politica, culturale o scientifica. Il che costringe il sociologo ad occuparsi di tutto ciò che accade nella socie, anche se poi tenta disperatamente di specializzarsi in un più ristretto campo disciplinare.

Fatto sta che il dilemma se costruire un ponte sullo Stretto di Messina investe anche valutazioni di carattere sociologico, collegabili ad esempio all impatto economico-sociale di quel ponte, al suo significato socioculturale, alle variabili politiche dell’impresa, al discorso ambientalistico e paesaggistico. E, in effetti, se il termine ”ponte’ viene adottato non solo per indicare un collegamento fisico tra due sponde, ma anche per restituire l’idea di un collegamento, sovente ardito, tra più persone, più comunità, p culture, il discorso sul Ponte sullo Stretto si arricchisce di elementi di discussione che non sono meramente tecnici. Proverò dunque a gettare qualche sasso ”sociologico” su uno stagno che a quanto pare presenta già delle notevoli increspature

La storia millenaria dalla Sicilia, nella sua strategica posizione al centro del Mediterraneo meridionale, ha sempre testimoniato del suo ruolo di ‘ponte tra oriente e occidente. Che vi abbiano dimorato, oltre agli autoctoni della prima ondata preistorica, greci, fenici, romani, bizantini, arabi, francesi, tedeschi e spagnoli non è certo un caso. Ma la Sicilia è stata anche un ponte tra il Mediterraneo e il Continente Europeo, stabilendo con la sua stessa presenza sì le differenze, ma anche la potenziale continuità, tra due diversi altrove” geografici e storici. D’altronde la Calabria si è sempre prestata a figurare come l‘estremo lembo di una massa continentale allungata fin quasi al circolo polare artico, come una mano sollecita ad accogliervi anche la Sicilia.

Ma quello Stretto segna inevitabilmente anche un distacco. La Natura ci ha messo del suo: i venti e le correnti che si incanalano tra Scilla e Cariddi indicano che quel confine, un braccio di mare percorribile persino a nuoto, risulta molto più concreto e critico di quanto non appaia a prima vista. E non è certo un caso che la mitologia vi si fosse soffermata sottolineando la “drammaticità” di quel passaggio.

La storia è una strana maestra. Ogni tanto cambia le regole interpretative e confonde i giudizi. Così. cè stato un tempo, anche lungo, in cui Sicilia e Continente si sono amalgamate in un unico soggetto politico e geografico; non solo nel corso millenario  della storia  dell‘Impero Romano: ma poi con i Normanni, con l’impero di Federico Il, e ancora con i Borboni fin quasi ai giorni nostri. In un certo senso la Sicilia e la Calabria si sono quasi fuse in un unico soggetto meridionale, questo  sì distinguibile nell‘assetto politico ed economico della penisola e quindi nell’intera Europa Continentale. Con tutto ciò, le spinte individualiste e separatiste ci sono sempre state; quasi che quello Stretto fosse aperto al dialogo, allo scambio, ma comunque costituisse un confine. E questo non tanto per i calabresi, geograficamente legati al Continente, quanto per i siciliani, distaccati fisicamente da esso.

Quali conseguenze culturalmente inconsce provocherebbe un Ponte sullo Stretto? Sentirsi più uniti a livello nazionale, continentale, oppure in qualche misura privati di una specifìci territoriale sancita dalla Natura che, come tale, può sottendere anche una specificità socioculturale? È una domanda forse oziosa a fini pratici, ma che talvolta riemerge fino ad instillare se non dubbi certo curiosi e speculazioni di natura socioantropologica.

Percorro a prudente volo d‘uccello le questioni tecniche, non sono competente in materia. È noto che il Ponte nasce in una zona sensibile: a venti e correnti, certo: ma anche con una profondità marina che non esiste neppure nella Manica e, soprattutto, ad una criticità sismica molto elevata.  non si muovono solo venti e correnti, in real si muovono anche placche continentali divergenti, peraltro sotto locchio severo di un vulcano vivo come l‘Etna. Di qui, lalternarsi delle proposte, molte delle quali se attuate creerebbero un oggetto tecnologico senza eguali nel mondo, destinato ci a stabilire parecchi record: di lunghezza, di altezza , di raffinatezza tecnica e architettonica, ecc. Peraltro, la tecnologia del XXI secolo ormai ci dovrebbe mettere al riparo da varie  conseguenze spiacevoli, con una esorbitante prevalenza dei vantaggi sugli eventuali svantaggi e all’ombra una adeguata gestione del binomio previsione/precauzione.

E tuttavia; anche in questo caso sorge spontanea la domanda: rispetto ai costi, che peseranno per decenni sul bilancio del Paese, i vantaggi sono tali da indurre comunque all’impresa? Un mio vecchio collega di origini siciliane mi fece notare tempo fa che se si attivassero dei servizi continui di navette di ultima generazione, veloci e di dimensioni tecnicamente adeguate al trasporto pubblico e privato, quei tre/quattro chilometri di mare potrebbero essere superati con una frequenza e in tempi molto più brevi di quelli odierni, tanto da non giustificare la necessi di un ponte: semmai di pontili, di ingressi e di uscite efficienti ai due estremi dello Stretto. Non sono in grado di dare una risposta tecnica e finanziaria a riguardo, quindi ho accennato ai termini della discussione solo per completezza di informazioni.

Più interessanti appaiono altre conseguenze economiche della costruzione di un eventuale ponte. L’impresa, che va definita inevitabilmente faraonica, si allungherebbe nel tempo sia per la costruzione che per la gestione e per la manutenzione, tanto da costituire un polo occupazionale di notevole importanza per l‘economia dell’intero Mezzogiorno.

C’è poi la variabile ambientalista e paesaggistica. Quale impatto avrebbe quel ponte, su piano ambientale, cioè naturalistico, e paesaggistico, cioè culturale ed estetico? In quell’area la Calabria manifesta delle peculiarità territoriali particolarmente interessanti , giacché il punto prescelto per il ponte giace quasi ai piedi dell’Aspromonte, mentre la Sicilia vedrebbe impegnata un‘area meno significativa rispetto al suo immediato entroterra. Ma quel che allarma gli ambientalisti è l’impatto di un gigante alto tra i 280 e i 400 metri in grado di stravolgere il profilo dell’intera area regionale. Del resto, l’alternativa di una galleria sottomarina potrebbe incidere sullequilibrio ecologico dello Stretto.

Su tutto questo, ci sarebbe da riflettere, cominciando narrando una piccola storia. C’era una volta, nel Medioevo, una bellissima collina di faggi, querce e castagni che dominava un piccolo villaggio. Gli abitanti del villaggio amavano quella collina, che cambiava colori con la stagioni che vantava un profilo morbido, quasi fosse quello di una persona comodamente accomodata su un fianco. Per di più, il suo bosco forniva legname, frutta, cacciagione e frescura d’estate. Poi un giorno un potente signorotto decise di costruirvi un castello. Le mura merlate, le severe torri slanciate verso il cielo, l’ingombrante presenza verticale stravolsero non solo il profilo ameno della collina ma anche l’armonia ecologica della natura circostante. Inoltre il signorotto fece suo il bosco, impedendo o limitando l’accesso agli abitanti del villaggio. Detto in termini moderni, quel castello alterò irrimediabilmente il paesaggio e l‘ambiente naturalistico e sociale di quella collina e molti abitanti del villaggio si sentirono derubati di un elemento identitaria che apparteneva alla loro storia e alla loro tradizione.

Passarono secoli. Si successero altri principi e altre filosofie del bello e dell’utile. Così oggi frotte di visitatori giungono nel villaggio, divenuto ormai un rinomato centro turistico, per ammirare quel castello che romanticamente emerge dal bosco in cima alla collina. Pittoresco, fascinoso, coinvolgente, romantico, naturalistico, o anche solo bello sono gli aggettivi più usati da quei turisti. Il paesaggio è valorizzato e reso straordinario dalla presenza di quel castello turrito che esprime grazia e potenza assieme, disegnando uno scenario che pittori paesaggisti, fotografi è scenografi di grido hanno immortalato nelle loro opere. Di quale castello stiamo parlando? Di quale villaggio? Non è necessario identificarlo; solo in Italia, ci sono decine di questi castelli, di queste colline, di questi villaggi, di questi paesaggi incontaminati“.

Questa breve storia suggerisce che bisogna stare molto attenti quando si parla di sfregio all’ambiente e al paesaggio. Il Ponte di Brooklyn, Il Golden Gate, l‘Akashi Bridge, quelli sul Bosforo, tanto per citare i più noti, oggi sono meta di turisti, sono oggetto di riproduzioni fotografiche, di poesie, di iconografie cinematografiche che ne esaltano la  “bellezza”, la tradizione storica, l’eccellenza tecnologica, persino la suggestione paesaggistica, quindi non solo e non tanto quella pratica ed economica di una mera infrastruttura di servizio. In molti casi si tratta veramente di “opere d’arte”, di arte tecnologica, che solo una male interpretata visione umanistica della cultura e dell’arte possono ignorare, sottovalutare o definire mostri“.

Come sì vede, il Ponte dello Stretto implica molte variabili, e quasi tutte in opposizione dialettica fra di loro. Ciascuna rivela dei pro e dei contro; occorre determinare, allora, quali sono gli scopi e i benefici prevalenti, che non saranno mai del tutto oggettivi, e che neppure una Intelligenza Artificia le potrà individuare in modo dirimente, giacché tutto sta a vedere quali input le verranno conferiti e per dare risposta a quali interrogativi.

*già Professore Ordinario di Sociologia e di Sociologia della comunicazione all’Università Sapienza di Roma.

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