L’intervista. Sylos Labini: contro i “nuovi talebani” porto in tv Mazzini, d’Annunzio, Marinetti e Guareschi

2 Feb 2024 7:42 - di Antonella Ambrosioni
Edoardo Sylos Labini

Quattro grandi biografie- Mazzini, Marinetti, d’Annunzio, Guareschi -si affacceranno su Rai3 in questo 2024. Raccontate e presentate dal regista, attore, drammaturgo e direttore di CulturaIdentità, Edoardo Sylos Labini. Li ha già portati tutti in scena, tranne uno, in fortunati e talvolta contrastati lavori teatrali. Li ha presentati per quello cha rappresentano, come manifesto dell’italianità, ognuno nel proprio ambito artistico. Mantiene correttamente il riserbo assoluto sulle quattro puntate a cui sta lavorando. Patria, arte, letteratura. Mazzini, Marinetti, d’Annunzio, Guareschi descrivono idee, visioni, avanguardie, immaginari, inscritti nel dna degli italiani. Eppure, a sentire le giaculatorie di sinistra non appena si è fatta strada l’idea di questo progetto culturale, non sembra che a tutti stiano a cuore i nostri “magnifici quattro”. Che nel tempo, chi più chi meno, sono stati osteggiati, avviliti nei programmi scolastici, quand’anche umiliati. Edoardo Sylos Labini  si è preso la briga di restituirli al grande pubblico depurati da manipolazioni ideologiche.

Edoardo Sylos Labini, dal teatro alla tv, fino alle sue battaglie su “CulturaIdentità” e al recupero delle “Città identitarie” disseminate nella nostra penisola: qual è il filo conduttore che lega questa sua multiforme attività?

La battaglia costante per la difesa del patrimonio di idee e valori che hanno fatto grande l’Italia. Una difesa che si può fare solo contrapponendo la conoscenza all’ignoranza, al vandalismo della cancel culture e di chi abbatte e imbratta statue e simboli di italianità. Per farle un esempio, quel che è accaduto al Louvre con la zuppa di zucca scodellata sulla nostra Gioconda non mi va giù, è inaccettabile.

Sono passati alcuni giorni dall’attacco alla Gioconda  e lei è ancora così adirato, da avere organizzato un numero speciale di “Culturaidentità” dal titolo “I nuovi talebani”. Cosa l’ha convinta ad intervenire così energicamente?

Il numero  “I nuovi talebani”, ha un sottotitolo esplicativo: “Le follie della dottrina wokista del politicamente corretto”. Leggo lo sfregio alla cultura che gli eco vandali hanno inscenato al Louvre come un attacco diretto alla cultura italiana. La Gioconda è la nostra “diva” nel mondo. La cultura woke va fermata, è pericolosa. Non c’è dubbio: coloro che compiono questi atti, coccolati dal mainstream, sono veri e propri talebani. E sull’episodio che ha fatto il giro del mondo molto non mi torna. Io sono stato di recente al Louvre e la sorveglianza era talmente severa, che a stento ho potuto  avvicinarmi per ammirare da vicino il capolavoro di Leonardo da Vinci. Questo per dire che trovo assurda la facilità con la quale gli attivisti hanno potuto aggirare la sorveglianza e in tranquillità fare il loro comizietto senza che nessuno intervenisse tempestivamente.

Lei sostiene che non ci sia sufficiente presa di coscienza della pericolosità sia materiale sia simbolica di certi gesti contro i simboli della cultura italiana. In effetti, solo il governo Meloni ne ha preso atto inasprendo le pene per certi reati contro il patrimonio nazionale. Dalla sinistra osserviamo, al contrario, giustificazioni lunari verso questi giovani “talebani” che avrebbero una “buona causa”…l’ambientalismo da salotto.

E’ vero ed è molto grave non indignarsi per questo. La stessa sottovalutazione  ho notato quando fu imbrattata la statua di Montanelli a Milano e la statua di d’Annunzio a Trieste. Qui nella centrale piazza della Borsa vandali versarono vernice gialla sul capo del poeta che è poi colata lungo le spalle e parte del corpo. Azioni improntata alla “cancel culture”, ossia  la prassi di decapitare, imbrattare, cancellare dai libri di storia profili di scrittori, politici, intellettuali, filosofi tacciati di razzismo, misoginia, omofobia, fascismo.

Il “suo” d’Annunzio. Cosa prova ascoltando chi ha difeso e difende tali gesti?

Penso che la cultura woke vada fermata, combattuta. Lo scrittore Erri De Luca disse: “Hanno fatto bene, sono ribelli”. Io ritengo che chi la pensa così faccia la parte degli “utili idioti” del gretismo più spinto.

“Non si toccano i nostri pezzi d’arte”, lei scrive. Come si fronteggiano i “nuovi talebani”?

Con una grande opera di comunicazione. Questo numero della rivista va alle radici del “wokeismo”. Dai Buddha di Bamiyan all’attacco alle statue di Montanelli e d’Annunzio: i paladini della cancel culture sono i nuovi talebani. Un argomento trattato da Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci, i primi in Italia ad approfondire il tema della “cancellazione della cultura e della cultura della cancellazione” coi loro saggi. Sul nuovo numero della rivista ci sono innumerevoli “firme”:  Fabio Dragoni, autore di un nuovo libro dove parla degli eco-teppisti; Francesco Erario, esperto dell’ideologia wokeista, e Alberto Alpozzi, rinomato studioso nel campo del colonialismo italiano.

Lei ha portato in scena d’Annunzio in pièce di successo. Possibile che permangano ancora certi scetticismi? Pensiamo anche all’operazione che da tanti anni Giodano Bruno Guerri in qualità di presidente del Vittoriale degli Italiani ha compiuto per separare la sua biografia poetica ed esistenziale dalla storia del fascismo.

Certo, D’Annunzio è un personaggio straordinario, non catalogabile entro alcuna ideologia. Solo approfondendolo si può capire tutto il suo spessore. Da notare che da tempo la sua figura è uscita da questi schematismi. Solo la sinistra li cavalca.

Il suo “D’annunzio segreto” ha avuto molto successo di pubblico. Ricordo personalmente varie serate al Quirino di Roma piene di scolaresche durante le quali non volava una mosca. Uno spettacolo che seguì un altro lavoro da lei portato a teatro: “Gabriele D’Annunzio tra amori e battaglie di qualche anno fa”. Qual era il collegamento tra i due spettacoli?

Raccontare la biografia di un personaggio straordinario dal superuomo a una dimensione “notturna. Nel  secondo spettacolo al centro c’è  l’ultima parte di vita, quella al Vittoriale, quando D’Annunzio è vecchio, deluso. E’ appena uscito dall’impresa di Fiume dove è stato bombardato dallo stesso governo italiano. E’ un uomo che se ne sta andando e si domanda cosa sta lasciando. Ci ha lasciato pagine straordinarie di letteratura.

Soltanto con la conoscenza e con un’opera di comunicazione è possibile restituire alcune figure della nostra cultura a un  “ideario”  patrimonio di tutti gli italiani. Anche Marinetti è stato totalmente vittima di una manipolazione culturale. Si ricorda le accuse di fascismo piovute sul capogruppo di FdI Tommaso Foti che ne ha citato una frase durante un intervento alla Camera?

Certo, si tratta di ignoranza. Marinetti è il fondatore della più grande avanguardia artistica del secolo scorso. Senza la  “rottura” che il Futurismo operò degli stilemi del passato non si  spiegherebbe molta parte dell’arte moderna. Appiattire un genio come Marinetti sul fascismo è –ripeto- ignoranza. Meriterebbe un Museo a lui dedicato.

Anche a Marinetti ha dedicato uno spettacolo teatrale?

Lo spettacolo di intitolava “Donne, velocità, pericolo”. Era il 2009 e lo presentai alla Galleria Sordi quando assessore alla Cultura era Umberto Croppi. Proprio sulla velocità e sui suoi «travolgimenti» era  incentrato lo spettacolo: rapido susseguirsi di spunti da tre delle opere meno note di Filippo Tommaso Marinetti : L’alcova d’acciaio, Come si seducono le donne, Novelle con labbra tinte . Per raccontare non la parabola del movimento, ma l’energia, la forza e l’entusiasmo che lo animarono.

Mentre meno bene andò uno spettacolo che lei portò in scena su Giuseppe Mazzini. Dovette intervenire la Digos. Cosa accadde?

Mazzini è uno dei padri della Patria, certo non è mai piaciuto ai marxisti e ai loro discendenti. Il motto della giovane Italia “Dio, patria, famiglia” è oggi guardato con sospetto, nonostante sia il padre spirituale della patria repubblicana, che ha lottato per liberare i giovani d’Italia e d’Europa. Nel 2011 nell’occasione del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia ho messo in scena “Disco Risorgimento, una storia romantica. Quello spettacolo ha ricevuto la medaglia d’oro del presidente della Repubblica di allora che era Giorgio Napolitano. Lo abbiamo messo in scena in tanti teatri e in tante università. Solo a Roma Tre abbiamo dovuto recitare scortati dalla Digos. Perché i collettivi sostenevano che fosse uno spettacolo fascista. Mi chiesi allora e mi chiedo oggi se avevano una minima idea della storia del nostro Paese, se sapevano chi fosse davvero Giuseppe Mazzini.

Basterebbe questo per auspicare la necessità di un programma che spieghi il contributo di tali figure. E basterebbe questa circostanza per capire a quali danni e amnesie conducono la cancel culture e il politicamente corretto.

Bisogna saper studiare e approfondire queste figure e raccontarle in paniera “pop”. E’ questo il nuovo immaginario italiano a cui voglio lavorare, personaggi ai quali in altri Paesei avrebbero dedicato un’ epopea…

Eppure subito sono partiti i siluri contro la nuova Rai “meloniana”. Perché tante polemiche?

E altrimenti come ci attaccano? Per troppi anni la Rai è stata lottizzata dalla sinistra. Si sono formate  delle ‘cordate’ che hanno lavorato in maniera quasi esclusiva, inutile negarlo. E ora qualcuno vorrebbe far passare il pluralismo per “occupazione”, si rende conto? E’ vero il contrario: il pluralismo  è liberazione, è la vera “rivoluzione”.

 A proposito di memoria, a lei dobbiamo un’altra idea. il Festival delle città identitarie. In cosa consiste?

L’Italia è fatta di province, piccoli borghi che nascondono e custodiscono pezzi d’arte, esempi di cultura, personaggi storici che noi dobbiamo valorizzare. L’idea è quella di proporre un itinerario legato a un immaginario italiano: tanti personaggi e tante storie da scoprire o riscoprire. Dobbiamo ringraziare il Mic e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuiano, che ha addirittura messo nelle linee guida del suo dicastero le città identitarie e il rilancio dei loro simboli culturali.

Esempi?

Siamo andati a Potenza dove Ruggero Leoncavallo scrisse l’opera ‘Pagliacci’ uno dei monumenti della lirica italiana nel mondo. Quindi è stata la volta di Trino, in provincia di Vercelli. La città di Cavour e dove si stampò la prima edizione della Commedia di Dante con il titolo “Divina Commedia’. Infine siamo andati a Loano, in provincia di Savona, patria di Gianandrea Doria, protagonista della storica battaglia di Lepanto. Incontri a cui fanno da cornice spettacoli e omaggi  Ad attori e attrici italiani che fanno parte del nostro immaginario. Tutti luoghi abbinati a piccole grandi perle di italianità.

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