Leggevo il Secolo da bambino. Ora assumo un compito importante: fare un “giornale per gli italiani”
L’incontro con il Secolo d’Italia è stato un atto di pura disobbedienza. Era il 1993 quando, dodicenne, mi intrufolavo nella piccola sezione del Msi di Misterbianco per sfogliare l’immancabile copia lasciata sul tavolo. Aprivo quelle pagine – con i titoli cubitali contro i titani della Prima Repubblica – con la curiosità di chi coglieva dall’albero il frutto proibito. Non solo dai precetti di un arco costituzionale che da lì a poco sarebbe crollato: anche dai rimproveri di una madre assai apprensiva, riguardo a quella “pericolosa” passione che accomunava me e mio padre.
A distanza di trentun anni, dopo aver puntualmente disobbedito e con una formazione da cronista iniziata proprio su queste colonne, è un grande onore tornare a casa – qui – nella veste di direttore responsabile. Ciò accade in un frangente memorabile: con la destra politica protagonista come mai prima d’ora e con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Una congiuntura a cui si aggiunge, a stretto giro, un appuntamento determinante per chi ha a cuore la costruzione dell’Europa delle Nazioni: quelle che potrebbero essere le sue prime, vere, elezioni politiche. Lì dove la destra italiana, con la sua leader, si candida a un ruolo centrale nella prossima Commissione: riformare quella tecnostruttura mettendola al servizio dei popoli europei, e non il contrario, rappresenta un banco di prova epocale.
In questo tornante è naturale, per il Secolo, voler essere della partita. In prima linea. Un compito coerente con la missione di un quotidiano che fin dalla nascita, nel 1952, si è innestato con i suoi grandi interpreti nella vena viva dell’elaborazione politica e culturale: al servizio non solo del pensiero nazionale ma del pluralismo e della democrazia. Un compito necessario più che mai, dato che oggi la posta in gioco per l’Italia, in una fase di disordine mondiale e con il germe della disgregazione che ha infettato le società, è altissima. Rispetto a una stampa e a una sinistra progressiste inclini ad assecondare il vincolo esterno – dunque determinati interessi anti-sociali – nonché a veicolare cultura woke e oicofobia, occorre un’informazione che faccia da cerniera fra le forze vitali che spingono la Nazione: giovani, lavoratori, imprese, corpi intermedi, asset strategici. Un’informazione che ponga al centro identità, rappresentanza e il ritorno al reale.
Il Secolo d’Italia, come nella sua ragione sociale da sempre, continuerà a svolgere proprio questo compito. Con una missione in più: offrire un giornale sinfonico, a più registri, multimediale. Così da essere voce di quella Italia profonda, maggioritaria, ottimista e creativa: troppo spesso oscurata o ridotta a caricatura da certo mainstream. Quell’Italia a cui è legata a doppio nodo l’agenda del riformismo nazionale, il mandato con cui il governo di destra-centro ha vinto le elezioni, e che vede due elementi fondamentali in istituzioni più forti e stabili in Italia e in Europa, perché diretta espressione della volontà popolare, e in un rinnovato sguardo al Mediterraneo, come leva della sua azione geopolitica.
In mezzo alla confusione organizzata con cui determinati media interessati intendono distorcere questa stagione, dalle sue colonne – oggi digitali – il Secolo d’Italia intende fornire un orientamento puntuale per i naviganti. Un racconto originale dell’azione e dei «perché» dell’esecutivo. Un inquadramento valoriale del suo dispositivo che pochi possono dire di conoscere come questo giornale e che abbraccia quella destra diffusa che tanto si aspetta, in termini di libertà e identità, da questa nuova rivoluzione conservatrice.
Tutto questo sarà possibile grazie al grande lavoro di chi ha tenuto il timone fino ad ora, particolarmente il caro amico Girolamo Fragalà, e di una redazione che rappresenta una vera eccellenza; nonché dalla ferma volontà di innovare, nel solco della tradizione, ribadita dalla Fondazione Alleanza Nazionale: con cui stiamo preparando una nuova veste grafica di questo giornale di cui farà parte, presto, anche una web-tv. Poi toccherà – come sempre – alla comunità dei lettori essere stimolo e pungolo. Perché voi siete l’ingrediente segreto di un giornale “vivo” e radicato nella storia di un popolo come è il Secolo. Il cui destino non cambierà mai. Resta quello scolpito nel suo primo numero: «Giornale per gli italiani».