Femminicidio, ergastolo per Padovani che uccise a martellate la ex Alessandra Matteuzzi

12 Feb 2024 19:22 - di Redazione

Ergastolo per Giovanni Padovani, il 27enne che il 23 agosto 2022 uccise l‘ex fidanzata Alessandra Matteuzzi a colpi di martello, calci e pugni sotto la sua casa a Bologna. Lo ha stabilito la Corte d’Assise di Bologna, presieduta dal giudice Domenico Pasquariello, dopo due ore di camera di consiglio. Riconosciute per l’ex calciatore e modello anche le aggravanti chieste dalla Procura dello stalking e della premeditazione.

Femminicidio, ergastolo per Giovanni Padovani

Al momento nessun commento da parte del legale di Padovani,  l’avvocato Gabriele Bordoni. “Li faremo quando saranno depositate le motivazioni della sentenza”, ha detto. “Alessandra non c’è più, mia sorella non c’è più”, così Stefania, la sorella della vittima scoppiata in un pianto liberatorio alla lettura della sentenza. “Per una volta rubo le parole di Giovanni Padovani dette in questa aula questa mattina, nessuno ha vinto, siamo tutti sconfitti”, ha detto a sua volta l’avvocato di parte civile, Chiara Rinaldi che rappresenta i due nipoti della donna uccisa. “La vera giustizia sarebbe che Alessandra fosse qui con noi, lei non c’è, è in un’urna cineraria e il responsabile è Giovanni Padovani. Che era lucido, che ha premeditato l’omicidio della sua ex compagna”.

Un omicidio efferato: calci, pugni e martellate

Un omicidio efferato quello di Alessandra Matteuzzi. Prima è stata colpita alla testa con una martellata, quindi colpita al volto e al corpo con calci e pugni, poi ancora colpita con una panchina di ferro. Alessandra, scriveva il gip di Bologna  nella convalida dell’arresto, viveva in “uno stato di timore, di malessere, di costante pressione e di disagio”. L’ex controllava l’abitazione e le frequentazioni, monitorava cellulare e profili social, la costringeva a effettuare “brevissimi intervalli videochiamate o filmati” per verificare le sue affermazioni, le danneggiava l’auto o la minacciava temendo tradimenti. “L’aggressione del 24 agosto costituisce, a ben vedere, solo l’ultimo tassello di tale persistente rappresentazione mentale, saldandosi agli atti pregressi così da costituire l’insano completamento”.

Era animato da un chiaro intento vendicativo

Per il giudice, Padovani era animato “da un chiaro intento vendicativo”, sentendosi (come ha ripetuto) usato e manipolato. Contro la donna, dopo che il martello si rompe, usa prima calci e pugni, poi una panchina in ferro presente nell’atrio del condominio. Una “intensità del dolo” interrotta solo dall’intervento di alcuni vicini, che impedivano di continuare a infierire e scappare. L’indagato è “animato da un irrefrenabile delirio di gelosia – scrive il gip –  e incapace sia di accettare con serenità il verificarsi di eventi avversi, ma pur sempre rientranti nelle ordinarie dinamiche relazionali. Sia di attivare l’ordinario sistema di freni inibitori delle proprie pulsioni aggressive”. Elementi che indicano una “eccezionale pericolosità e assoluta incontrollabilità o prevedibilità delle azioni. E che dunque rendono il carcere, anche per proteggere la famiglia della vittima, l’unica soluzione possibile”.

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