Shoah, Dagospia ancora rompe con Meloni e i camerati. Ciò che dice la premier non sarà mai abbastanza

27 Gen 2024 16:02 - di Gloria Sabatini

Meloni, gratta gratta, è ancora un po’ neofascista, non è chiara nell’abiura e occhieggia ai camerati per non perdere voti. Fino a quando giornalisti e opinionisti con piglio militante continueranno ossessivamente a gridare al fascismo che non passa? Si prova sconforto a leggere il servizio confezionato da Dagospia sulle parole della premier Meloni per celebrare il Giorno della Memoria della Shoah. La foto a corredo del pezzo è già un manifesto programmatico: sullo sfondo un’immagine in bianco e di Mussolini e Hitler, in primo piano una Meloni pensante. L’accostamento visivo non ha bisogno di sottotitoli. Il cappello alle agenzie riportate è un capolavoro di ipocrisia. La premier ha denunciato chiaramente  e testualmente “la malvagità dei disegno nazifascista” ha definito le leggi razziali del ’38 una vergogna, ha messo in guardia dal pericolo di un crescente antisemitismo dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha ricordato l’impegno del governo contro “una piaga da estirpare”. Ha parlato di dovere della memoria. Parole nette, senza spazio a fraintendimenti ( “Il  27 gennaio di 79 anni fa, il mondo ha visto con i suoi occhi l’orrore della Shoah, il deliberato piano nazista di persecuzione e sterminio del popolo ebraico”).

Shoah, Dagospia all’attacco di Meloni che occhieggia ai camerati

Ma a Dagospia, come ai colleghi di Repubblica a caccia di rigurgiti fascisti e braccia tese, la premier non sarebbe stata abbastanza incisiva. Leggiamo che “prova” a prendere le distanze dal regime di Mussolini ma senza esagerare. Altrimenti – ecco la tesi scarsamente originale smentita dai fatti – i suoi elettori camerati e la base post- missina di Fdi la abbandonerebbero. Viene il dubbio che D’Agostino non abbia letto il lungo messaggio della presidente del Consiglio. Che abbia commissionato il servizio prima, ricalcando la narrazione di una Meloni imbarazzata e la stanca litanìa che ossessiona stampa “progressista” e opposizioni. Per arrivare implicitamente alla domanda delle domande, riproposta in ogni occasione. “Cosa pensa del fascismo? Lo  considera un male assoluto? Si definisce antifascista? Lo dica, lo dica”. Domande vecchie alla quale Meloni e il partito che guida hanno già risposto.

Il processo a quello che non c’è e l’ossessione del fascismo

Ma il processo alla premier è a prescindere, un attacco ideologico alla presunta nostalgia che si ripete uguale a ogni occasione. Lo scorso anno, Tomaso Montanari, dai microfoni de La7 (ma non solo lui) definì poco chiare le parole della premier sull’Olocausto. “Meloni non ha mai proclamato la parola fascismo”, ecco l’ossessione che torna. Allo storico era “parso un messaggio molto astratto che evitava accuratamente di dire che è stata colpa nostra e in particolare dell’Italia fascista”. Quest’anno Meloni ha parlato di nazifascismo, ma non va bene lo stesso. Dove sta l’ambiguità meloniana? Basterebbe conoscere la storia travagliata della destra da Fiuggi in poi, il progressivo affrancamento, precedente alla nascita di FdI, anche nei gesti e nella narrazione pubblica da richiami  vetero-fascisti. Un rinnovamento nell’antropologia, nel linguaggio e nelle proposte politiche che la sinistra, invece, non ha saputo compiere. E continua a giocare al derby con il fascismo, che non c’è più e nessun italiano percepisce come un pericolo.

Derby ideologici, cliché e commenti uguali ogni anno

Fino a quando? Si potrebbe finirla qua e accettare che esiste un presidente del Consiglio che sta a palazzo Chigi perché ha vinto democraticamente le elezioni e ‘interrogarla’ sull’operato del suo governo. Di fronte a due guerre, ai continui tsunami nel quadro geopolitico, ai contraccolpi della crisi economica mondiale, alle sfide della post-globalizzazione, intelligenza artificiale in testa, il problema sarebbe quello del tasso di presunto fascismo della premier?

La destra radicale non ha consensi, ma c’è chi lo ignora

Che cos’altro avrebbe dovuto dire in occasione del Giorno della Memoria per tranquillizzare Dagospia e gli altri? Nulla. Il processo e le analisi del sangue sono ‘a priori’. Non basta mai. Non bastano le prese di distanza sui saluti romani (lo ha fatto troppo tardi), non bastano le condanne dei fatti di violenza, non basta l’assoluta distanza dalle frange di una destra estrema residuale. Che, forse Dagospia non lo sa, non ha consensi nel paese. Viaggia attorno allo 0,5%. Meloni occhieggia ai camerati per non perdere voti? Semmai è vero il contrario. La premier da anni ha fatto i conti con il passato, a rischio di perdere gli applausi e qualche voto dei nostalgici. Che infatti la accusano di “tradimento”.

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