Sanremo, rispettate i Ricchi e Poveri. Gli Abba italiani lanciati dal mitico Franco Califano

19 Gen 2024 7:40 - di Mario Campanella
Ricchi e Poveri

I Ricchi e Poveri non sono i Pink Floyd, né i Beatles e nemmeno l’orchestra filarmonica di Vienna. Ma non è sembrato vero, a certe testate progressiste pronte ad omaggiare i nuovi talenti lanciati e “protetti” da Amadeus, metterli nel tritacarne delle prevalutazioni sanremesi dando loro un’insufficienza senza appello.  «Sono cringe», «patetici», «La quota Lol di questa edizione», «l’anagrafe fa scricchiolare tutto», «Ingiudicabili», «Fuori tempo». Giudizi che non tengono conto della tradizione musicale italiana dove i Ricchi e Poveri hanno rappresentato gli Abba nostrani, scoperti e lanciati da un grande come Franco Califano.

È dovuto intervenire Fiorello a ricordare che il vecchio quartetto, purtroppo ridotto a due da lutti e abbandoni, è un mito della nostra musica leggera. “Ci vuole rispetto, noi di VivaRai2 ci schieriamo con i Ricchi e Poveri”.

Ventidue milioni di dischi venduti solo in Italia (secondo gruppo in assoluto dietro i Pooh), una grande popolarità all’estero, soprattutto nei Paesi dell’est, l’espressione di quella cultura nazionalpopolare che per la sinistra è sempre sintomo di stupidità. Lo era per Totò Cutugno, ma prima ancora, nella critica anni sessanta, per fare un paragone letterario e cinematografico, addirittura per Totò e Giovanni Guareschi. Ciò che non esprime lotta e scontro sociale è una canzonetta. Il vecchio refrain che spinse Edoardo Bennato a scrivere un piccolo capolavoro negli anni Settanta.

Ma i Ricchi e poveri non sono l’ultima espressione artistica vittima di questo razzismo culturale che a Sanremo tocca sempre il suo apice. Perché anche Luigi Tenco, riabilitato nella sua grandezza come Totò solo dopo la morte, fu subissato di critiche feroci per “Ciao, amore ciao”, ultima sua tragica esibizione. Viene in mente Giuseppe Berto e “Il male oscuro” e la sua titanica guerra a Moravia, per descrivere il conformismo del pensiero unico, vera eredità edipica che tende a distruggere tutto ciò che appare semplice.

Del resto proprio Alberto Moravia, peraltro in un discorso complessivamente molto bello, durante l’orazione per la morte di Pasolini, definì Foscolo e D’Annunzio due reazionari, sottolineando una differenza ideologica anche nella poesia. Seppure non scriveranno mai “Yesterday ” o “Whish you were here”, il loro “Sarà perché ti amo” riecheggia nelle varie traduzioni in tutti gli stadi del mondo, dal Bernabei all’Allianz di Berlino. Riscatto di popolo, riscatto di Dio.

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