Meloni smaschera gli Agnelli sulla Fiat svenduta all’estero, “Repubblica” replica: “Ci aggredisce…”

23 Gen 2024 7:59 - di Luca Maurelli

Il titolo che Giorgia Meloni non aveva digerito è di tre giorni fa: “Italia in vendita“, con un’accusa formulata proprio a lei, la paladina dell’italianità, arrivato da un autorevole quotidiano, “Repubblica”,  il meno adatto però a salire sul pulpito, considerata la sua proprietà, i suoi azionisti e i suoi piani industriali, non esattamente dal profilo patriottico. Quel titolo richiamava due operazioni, la cessione di quote della rete Netco di Tim alla Krk, autorizzata dal governo per favorire gli investimenti senza perdere il controllo strategico delle infrastruttura e la golden power, e la possibile cessione di una piccola quota statale di Eni e forse di Poste, anche qui attraverso una privatizzazione soft e che non cambi nulla sul controllo dei piani industriali e “politici” del colosso di Stato, con il governo che partecipa sia l’azienda che ovviamente la cassaforte pubblica di Cassa Depositi e Prestiti. Tanto rumore per nulla, dunque. Perché? Forse per coprire le vere svendite?

Meloni contro Agnelli, Elkann e “Repubblica”

Lo scontro tra il premier e la famiglia Elkann che controlla Repubblica è stato così inevitabile e si è consumato tra ieri sera, quando la Meloni ha sferrato il suo pesantissimo attacco alla famiglia più potente d’Italia e al gruppo Gedi nel corso dell’intervista a Nicola Porro su Rete4, e questa mattina, con la replica del direttore Molinari in prima pagina del quotidiano romano.
«Mi ha fatto un po’ sorridere l’accusa arrivata da Repubblica, con una prima pagina sull’Italia “in vendita”. Che quest’accusa venga dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e l’hanno ceduta ai francesi», aveva detto ieri sera la Meloni, «hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale, hanno messo in vendita i siti delle nostre storiche aziende italiane… Non so se il titolo fosse un’autobiografia però, francamente, lezioni di tutela di italianità da questi pulpiti, anche no», era stata l’accusa del presidente del Consiglio, con ovvio riferimento alla famiglia Agnelli ed Elkann che controlla la proprietà editoriale del quotidiano fondato da Scalfaro.
Verità inconfessabili, per “Repubblica“, che oggi replica in diversi articoli, senza mai citare i nomi dei proprietari, con tanto di Cdr che ne prende le distanze con la scusa di indignarsi per le parole della Meloni.

La replica di Molinari: “In gioco la libertà di stampa”

“Nell’intervista che ha rilasciato a Quarta Repubblica la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, irride il titolo di prima pagina ‘L’Italia in vendita’ che il nostro giornale ha fatto nell’edizione di sabato, delegittimando la nostra voce a causa della nostra proprietà. ‘Non accettiamo lezioni di italianità che vengono da questi pulpiti’, ha detto la premier. Metodo e merito di queste affermazioni pubbliche descrivono una carenza di rispetto e comprensione per la libertà di informazione…”. . Poi Molinari si dedica alla Costituzione e cita la libertà di informazione. “Aggredire questo lavoro giornalistico significa non volersi confrontare con il dovere di rispondere alle domande più difficili. Ma la vita democratica impone ad un capo di governo di affrontare ogni domanda, anche le più ostiche. È un test di leadership che Giorgia Meloni ieri ha dimostrato di non saper superare, celandosi dietro una narrativa sovranista sulla patente di italianità”.

E le accuse di Calenda? Ignorare dal quotidiano…

Un dettaglio, però, spiega molto, se non tutto. Il direttore di “Repubblica” in quell’articolo è costretto a difendersi anche da un esponente dell’opposizione, Carlo Calenda, che ieri aveva imperversato sui giornali denunciando la “svendita” di Stellantis-Fiat ai francesi, e non solo. Basterebbe leggere lui per comprendere come nessun attacco del potere alla libertà di informazione sia in atto, visto che chi parla è il leader di un piccolo partito della minoranza, ma che la dialettica politica imponga di fare chiarezza sulle commistioni tra editoria e poteri più o meno forti, se dietro esistono scenari poco comprensibili agli italiani rispetto alla gestione di asset strategici e storici per l’Italia. Altro che “amichetti”, ha detto ieri Meloni, ora ci sono io. La Fiat, Stellantis, gli Agnelli e gli Elkann, spiega dal canto suo Calenda, sembrano disposti a tutto, anche ad andare in Marocco, per macinare utili, nell’anno in cui per la prima volta una marca tedesca, la Wolkswagen, ha superato le vendite di Fiat Italia. “Perché nessuno ne parla, perché Repubblica continua invece a ospitare interviste a Landini e non a me?”, è la maliziosa domanda.

Il virgolettato del leader di Azione

«I francesi sono pronti con l’auto elettrica, di quelli italiani solo uno è al passo con i tempi. Le fabbriche italiane si vanno svuotando. A cominciare da Mirafiori. E Tavares viene a inaugurare a Mirafiori una linea di rottamazione spacciandola per economia circolare. «La fabbrica di Grugliasco è stata messa in vendita su Immobiliare.it. L’avevo inaugurata da ministro insieme a Marchionne. E i nuovi modelli, spacciati per made in Italy, arrivano dalla Serbia. i italiano l’ex Fiat non ha più nulla. L’Italia è diventata per loro un posto qualunque e chiedono soltanto incentivi. Sono in possesso di una lettera che Stellantis ha inviato ai fornitori italiani, decantando le opportunità di spostare gli investimenti in Marocco. La fuga dall’Italia continua sempre più». Ma di questo, su “Repubblica“, non troverete traccia.

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