Ferragni addio, largo ai “de-influencer”: i guru anti marketing di massa. Ecco i protagonisti del trend

13 Gen 2024 12:23 - di Lara Rastellino
de-influencer

Mentre si lecca le ferite inferte dal caso Ferragni, il popolo del web prova a ripartire, ma stavolta nella corsa al like alla condivisione sceglie la postazione opposta: quella dei de-influencer. Fino a ieri al seguito di guru dell’acquisto consigliato e di imprenditrici digitali sovrane incontrastate del regno social, gli utenti che a suon pollice verso e di click per defollowarsi hanno emesso la loro sentenza internetica prima che arrivano i verdetti delle Procure al lavoro, non solo sanciscono il loro addio a Chiara Ferragni, ma assestano un ulteriore colpo proprio nella scelta dei nuovi trend da seguire, puntando sull’esatto opposto dell’influencer. Ossia su chi, finora indietro di molte postazioni, nella vetrina social sfida le tendenze del momento per promuovere un consumo più sostenibile ed etico.

Nell’era post Ferragni, prende piede il fenomeno dei “de-influencer”

È il fenomeno del deinfluncer: una categoria di creatori di contenuti digitali che sta prendendo piede in risposta ai più conosciuti influencer e che, invece di sponsorizzare prodotti, li critica e si interroga sull’impatto che possono generare sui comportamenti d’acquisto dei consumatori. Il paradigma in voga in questo momento di sconcerto, riflessioni, indagini e nuove ridefinizioni di un mondo i cui perimetri sono saltati dopo il «Pandoro gate» e affini… Una realtà, quella social, che sta riscrivendo regole e nomenclatura, facendo spazi a chi, fino a ieri, faticava a ritagliarsene. E allora vediamo chi sono i nuovi arbiter elegantiarum eletti a nuove guide da seguire a suon di consigli per gli acquisti…

Nel post Ferragni, la risposta veemente che si oppone al marketing di massa

Dunque, come segnala l’Adnkronos, tra i deinfluencer più noti ed emergenti c’è sicuramente Derek Guy, noto anche come «il ragazzo dell’abbigliamento maschile» su X, scrittore e commentatore canadese di moda, che, come citato anche da Bloomberg, ha spiegato in una serie di 27 post la differenza tra un maglione di cashmere che costa 50 dollari e uno che potrebbe costare fino a 5.000. Guy sottolinea ovviamente, che esistono grandi differenze in termini di qualità (morbidezza, elasticità, lunghezza del filato, longevità) tra i due capi. Ma, soprattutto, ne analizza gli impatti sull’ambiente e sul benessere degli animali comparandoli con il fast fashion.

Ecco chi sono i de-influencer, protagonisti del nuovo trend social

È lui, insomma, Derek Guy, il nuovo “guru” dei social: colui che sembra incarnare a tutti gli effetti il fenomeno dei deinfluencer, conseguenza della cultura degli influencer che sul web dicono ai loro followers cosa non comprare. Rifiutano le tendenze del momento e il consumismo sfrenato. O le leggi imposte dal marketing di massa. non a caso, del resto, questa nuova tipologia di consiglieri internetici, spesso iniziano i loro post e reel con la domanda: «Ne vale davvero la pena?»…

C’è pure chi distrugge (letteralmente) i brand di lusso e i loro costosissimi prodotti

Un altro esempio che sempre l’Adnkronos propone è poi quello di Tanner Leatherstein, diventato virale su Instagram e TikTok usando le sue doti di artigiano e la sua conoscenza dei pellami per smontare borsette da migliaia di euro, dichiarandone alla fine il reale valore. Nei video che pubblica usa taglierini. Solventi. Forbici e lime, per distruggere e sezionare ogni singolo componente degli oggetti in questione. Chiedendo ai consumatori se il prodotto vale davvero la cifra richiesta dal brand di lusso in oggetto.

De-influencer, il nuovo che avanza… già da un anno

Il fenomeno del deinfluencer non è nuovo al mondo dei social, ma è emerso come trend un annetto fa. Anche Andrea Cheong, deinfluencer con oltre 390.000 follower su Instagram e TikTok, mostra nei negozi come leggere le etichette di cuciture, fodere e materiali. Anche lo stesso Guy, tenta sui social di scoraggiare il consumismo sconsiderato. Chissà se anche in Italia, magari sull’onda emotiva del caso Ferragni, alcuni consumatori non inizino ad avere una visione più critica e consapevole in fatto di scelte. O che magari, per stigmatizzare il loro no anche solo al sospetto di beffe e truffe, non si ascrivano alla lista dei ribelli del mercato e delle strategie online) a suon di post…

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