Ecuador nel caos totale, sull’orlo della guerra civile. Prova di forza del narcotraffico, le armi arrivate dal Perù

10 Gen 2024 19:28 - di Roberto Frulli
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E’ caos totale in Ecuador, il Paese al centro della rotta del narcotraffico e che è, ora, sull’orlo della guerra civile dopo che il neo presidente Daniel Noboa, 36 anni, il più giovane presidente della storia del Paese, ha decretato “il conflitto armato interno” ad integrazione dello Stato di emergenza per 60 giorni annunciato nei giorni scorsi.Aggiungi nuovo

La mossa di Noboa, tesa a fronteggiare con pugno di ferro i 21 gruppi del crimine organizzato presenti nel Paese, ha determinato l’immediata mobilitazione delle forze dell’ordine e delle forze armate per garantire l’integrità dello Stato. Ma non è piaciuta, ovviamente, ai narcotrafficanti che hanno dichiarato guerra allo Stato intavolando un braccio di ferro che sta gettando l’Ecuador nel disordine più assoluto. E questo in un Paese che ha chiuso il 2023 con un tristissimo record: circa 7.600 morti violente nell’anno che si è appena concluso, dati che equivalgono a un tasso di oltre 40 omicidi ogni 100.000 abitanti con punte, in alcune zone pericolosissime, forse fra le più pericolose del mondo, di 114 morti.

Tanto che diversi paesi come la Spagna hanno consigliato ai loro cittadini di evitare viaggi nelle regioni di Guayas ed Esmeraldas, considerate l’epicentro della criminalità. La Francia ha chiesto ai suoi cittadini che dovevano recarsi in Ecuador di cambiare i loro piani mentre l’Italia raccomanda agli italiani presenti nel Paese di evitare ogni spostamento e di tenersi aggiornati sulle indicazioni delle Autorità locali.

L’ex-presidente dell’Ecuador, Guillermo Lasso, che ha lasciato il suo incarico lo scorso 23 novembre, ha decretato più di una dozzina di stati di emergenza durante il suo breve mandato di 2 anni e mezzo.

Durante la sua presidenza ha lanciato operazioni di polizia e militari in diversi carceri del Paese, teatro di massacri e rimasti praticamente fuori dal controllo dello Stato.

L’Ecuador è un paese chiave sulla rotta del traffico di droga negli Stati Uniti e negli ultimi anni gruppi locali hanno rafforzato i legami con i cartelli di paesi come Messico e Colombia, senza che le forze di sicurezza ecuadoriane siano riuscite a trovare la formula.
Di fatto è diventato uno dei principali luoghi di esportazione della cocaina prodotta in Perù e in Colombia.

In un contesto così problematico ed esplosivo l’evasione di José Adolfo Macias Villamar, sopranominato ‘Fito‘, 44 anni il capo dei Los Choneros, un gruppo che conterebbe circa 8 mila uomini, ha innescato una serie di reazioni violente.

Considerato come il ‘nemico pubblico numero unoMacias era stato condannato nel 2011 a una pena di 34 anni ed era già scappato dal carcere nel 2013 prima di essere ripreso tre mesi dopo. E’ sospettato di essere il mandante dell’omicidio di uno dei principali candidati alla presidenziale del 2023, Fernando Villavivencio.
La fuga di quello che è considerato come l’uomo più pericoloso dell’Ecuador ha rivelato ancora una volta le crepe nel sistema.
“È finito il tempo in cui i condannati per traffico di droga, sicari e la criminalità organizzata dettavano la legge al governo”, ha affermato Noboa. Che attribuisce i disordini nelle carceri alla sua decisione di riportare l’ordine.

Ieri era fuggito dal carcere anche Fabricio Colón Pico, alias ‘Capitano Pico‘, arrestato alla fine della scorsa settimana dopo aver minacciato di assassinare il procuratore generale del paese, Diana Salazar.
In questo scenario di caos assoluto, alcune attività commerciali hanno scelto di chiudere i battenti e anche il ministero dell’Istruzione ha invitato le scuole situate nelle vicinanze delle carceri a insegnare online. Martedì il governo ha ordinato l’evacuazione degli edifici pubblici come misura precauzionale.

Noboa ha annunciato che questa settimana verranno espulsi 1.500 detenuti stranieri, che verranno inviati nei loro paesi d’origine, ad iniziare dai cittadini di Colombia, Venezuela e Perù, ovvero i paesi più vicini, per poi proseguire con quelli più lontani, nel tentativo di ridurre il sovraffollamento nelle carceri oltre che i costi per la loro gestione dato che, ha sottolineato Noboa, il Paese spende più per fornire i pasti ai detenuti che per le mense scolastiche.

E si sta cercando di capire dove hanno preso le armi le bande criminali giacché una granata sequestrata ai criminali, coincideva con un arsenale ottenuto dal Perù nel 2016, motivo per cui è necessaria un’indagine per chiarire i fatti.

Il ministro della Difesa del Perù, Jorge Chávez, ha annunciato mercoledì che il governo effettuerà un indagine per verificare se le munizioni e gli ordigni esplosivi di alcuni gruppi criminali dell’Ecuador provenissero dagli arsenali delle Forze Armate peruviane.

“È stato accertato che esiste la presunta possibilità che alcune di queste munizioni, esplosivi o granate abbiano lasciato in passato i magazzini delle Forze Armate” peruviane, ha ammesso Chávez.
Secondo quanto riferito dal responsabile della Difesa all’emittente radiofonica Rpp, parte delle munizioni utilizzate dagli uomini armati incappucciati che martedì hanno attaccato le strutture del canale ecuadoriano Tc Televisión a Guayaquil potrebbero provenire dal Perù.
Chávez ha spiegato che ogni munizione e lotto ha un numero di serie.

Il sindaco di Quito, Pabel Munoz, ha intanto rivelato che sono stati sventati tre attentati con altrettante autobomba nella capitale dell’Ecuador. Intervistato da Radio Pichincha, Munoz ha invitato la popolazione a restare in casa e, per chi può, di lavorare in smart working.
“Nessuna delle tre autobomba individuate è esplosa”, ha spiegato, aggiungendo che “i 20 allarmi segnalati nella metropolitana di Quito sono risultati tutti falsi, ma usati per alimentare il caos”.

Usa e Ue seguono con molta attenzione l’evoluzione della situazione in Ecuador e si sono già detti pronti a intervenire e “a fornire aiuto al governo e a restare in stretto contatto con il presidente Daniel Noboa e la sua squadra”.

“La situazione è complicatissima”, ammette con grande preoccupazione monsignor Antonio Crameri, presidente di Caritas Ecuador, vescovo del vicariato apostolico di Esmeraldas, città sul Pacifico, da mesi epicentro della violenza in Ecuador sull’orlo della guerra civile.
“In questi giorni mi trovo a Guayaquil, dove si è scatenato l’inferno. Da Esmeraldas – racconta al Sir – mi raccontano di auto bruciate, negozi saccheggiati, persone sequestrate. Mi dicono che sono stati uccisi due agenti che facevano da scorta al procuratore della Repubblica. Quattro capi sono evasi dal carcere. Di fatto, non c’è legge, ora negozi e scuole sono chiusi, io stesso ho chiesto la sospensione delle messe in presenza, come si è fatto durante la pandemia. Io dovrei tornare a Esmeraldas, ma non so se sarà possibile. Iniziano anche a scarseggiare gli alimenti“.

L’Ecuador è la Colombia degli anni Ottanta” e nel Paese “oggi è in atto una prova di forza tra le organizzazioni criminali che vogliono il controllo dei territorio e uno Stato debole che deve dimostrare di riprendere il territorio con la forza”, sintetizza Salvatore Foti, presidente di Comites Ecuador, parlando ad Adnkronos di una situazione che, in queste ore, definisce “di stallo”.

Foti spiega che “il termometro dell’Ecuador sono sempre state e continuano a essere le carceri che sono in mano ai criminali“. E cita video circolati online che mostrano “esecuzioni sommarie di agenti della polizia penitenziaria che sono stati sequestrati. Gli hanno sparato alla testa, uno è stato impiccato. Sembra di essere tornati al Medioevo”.

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