Con Gigi Riva se ne è andato l’ultimo re di un calcio che non tornerà mai più

23 Gen 2024 16:38 - di Mario Campanella
gigi riva campanella

Pensavamo tutti che Gigi Riva o meglio  GiggiRiva (tutto attaccato e con la doppia g come lo chiamavano i tifosi sardi e come lo scriveva Gianni Brera, lo stesso che gli aveva cucito addosso l’appellativo Rombo di Tuono) non avesse tempo. Pensavamo che fosse immortale.

Perché lo abbiamo conosciuto e amato anche per sentito dire, per i 35 gol in nazionale, lo scudetto a Cagliari, la sua straordinaria dignità di uomo e galantuomo.
È stato un migrante al contrario, ma anche l’uomo che disse no ad un miliardo di lire (praticamente almeno venti milioni di euro di oggi) rifiutando la Juventus e rimanendo per sempre isolano.

Leggenda di un calcio che ci faceva sognare

Quel calcio che ci faceva sognare, ascoltato in radio ogni domenica alle 14,30, non esiste più. Era il calcio poetico, quello che vedeva la Lazio di Maestrelli compiere il miracolo, il Napoli di Vinicio sfiorare ma non vincere il tricolore, la Juventus dominare e il mitico Torino di Gigi Radice e dei gemelli del gol riportare lo scalpo sotto la curva Maratona dopo la tragedia di Superga.
Di quella maestosità nazionalpopolare, Gianni Rivera era il Principe ma rombo di tuono era il Re.
42 partite appena in nazionale e 35 gol (record ancora imbattuto), campione d’Europa il 68 e straordinario artefice di quel secondo posto in Messico e di un mondiale perduto contro Pelé ma vinto moralmente nell’epica semifinale contro la Germania.
Se n’è andato pochi giorni dopo Beckenbauer, Riva, con lui protagonista di quell’infinito 4-3.
Non è casuale che durante la commemorazione improvvisata di ieri a Riad il pubblico presente lo abbia fischiato. Ovviamente senza sapere chi fosse. Perché il calcio di oggi è tutto un circo di denari infiniti. Una melassa ridondante dove professionisti che sembrano mercenari baciano la maglia provvisoria in attesa di qualche dollaro in più.
Allora si giocava tutti la domenica, poi ogni tanto le coppe e soprattutto la nazionale. Si giocavano al massimo 40 partite l’anno: oggi siamo oltre le sessanta.

Con Gigi Riva se ne va un calcio passionale e ingenuo

Si vedevano le amichevoli in differita e solo l’Italia era in diretta. Gigi Riva era il padre nobile di un collante sociale enorme. Il progresso porta a vivere più a lungo, diceva Cechov, ma porta a vivere peggio.
Non doveva andarsene mai GiggiRiva. Era destinato al Paradiso terrestre, con la sigaretta in mano e quel sinistro ineguagliabile che deliziava il mondo. Né doveva finire quel calcio passionale e ingenuo, giocato su terreni aspri, sotto la pioggia, nello spirito di una lealtà che non finiva mai.

C’erano botte in campo, non c’era il Var, ma non esistevano scontri fra tifosi. C’era GiggiRiva che incrociava l’angolo. E che è voluto salire in cielo, per sfidare ancora il Kaiser, con il braccio rotto, sul prato dell’Atzeca, oggi sacrario di quello scontro greco che nessun petroldollaro potrà mai cancellare dalla nostra memoria.

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