Cento anni di Achille Togliani, fotoromanzi, radio, cinema e il primo Sanremo. Il figlio: “Artista crossmediale”

16 Gen 2024 15:56 - di Gloria Sabatini

Una carriera formidabile, frutto di talento, studio e caparbietà, un artista a tutto tondo, cantante straordinario, la sua interpretazione di Parlami d’amore Mariù diventa la colonna sonora di un’epoca, attore, protagonista di decine e decine di fotoromanzi che negli anni ’50 tenevano incollati alla radio tutta l’Italia. Achille Togliani, nato a Pomponesco il 16 gennaio 1924 (morto a Roma il 12 agosto 1995) oggi avrebbe compiuto cento anni. Nell’anniversario della nascita il figlio d’arte Adelmo, attore, regista e sceneggiatore italiano (mosse i primi passi nella scuola di recitazione fondata dal padre), lo ricorda con orgoglio e gratitudine – “a lui devo la mia grande passione per il cinema, mi considero un privilegiato” – mosso dalla necessità di tenere viva la memoria. La sua è quasi una crociata contro l’oblio. “In Francia guai a dimenticare Aznavour, negli Stati Uniti se tocchi Frank Sinatra, che stregò mio padre, ti uccidono. In Italia invece…”.

Papà fu anche un apripista, un pioniere che anticipò costumi, mode e tecniche… Come potremmo definire oggi Achille Togliani?

Potrei definirlo un influencer di oggi, un artista crossmediale. Ha affrontato e attraversato tutti i media, cinema, teatro, il mondo dei fotoromanzi, diventandone un divo. Era molto attento anche agli aspetti tecnici. Diplomatosi con il massimo dei voti nel 1940 al centro sperimentale di cinematografia, grande appassionato di cinema, era anche attratto dall’aspetto tecnico che c’è dietro la macchina da presa. Aveva una grande passione per la ripresa, come hobby. Ho trovato una grande quantità di documentari privati girati in 16 millimetri. Negli anni ’50, pazzesco, girava con la stessa macchina da presa utilizzata da Pasolini. Per lui era un passatempo. Il suo vezzo di riprendere ci ha lasciato una mole di pellicole che abbiamo restaurato e utilizzato nel documentario che ho realizzato nel 2022 insieme a Daniele Di Biasio.

Non deve essere stato facile condensare in un docufilm di un’ora le performance, la carriera e la vita di Achille Togliani

Abbiamo seguito un criterio cronologico, che dà il senso di una carriera lunghissima, perché papà non si è mai fermato. Ha cantato fino a pochi giorni prima di morire. Il suo ultimo concerto a Treviso è del 27 luglio 1995, è morto il 12 agosto. Ad applaudirlo diecimila persone. Negli anni ’70 era un considerato un personaggio del passato, la sua presenza in televisione si era ridotta, ma il suo pubblico non lo ha mai abbandonato. Abbiamo utilizzato materiale già ordinato da papà. Non è stato facile riconoscere i volti, selezionare e dare un senso a una quantità enorme di documentari, filmati e documenti.

Poliedrico, versatile, anche giornalista?

Ho scoperto che papà nel 1943 scrisse recensioni sulla Mostra del Cinema di Venezia nel 1943. Ormai divo della radio, teneva rubriche suo rotocalchi di vari magazine. E non rispondeva solo alle lettere dei lettori ma scriveva anche di attualità, di calcio. I suoi colleghi di Radio Rai lo prendevano in giro, gli davano del fumettaro. Era anche molto ostinato, superò 7 bocciature nelle audizioni Rai.

Fu tra i fondatori del Festival di Sanremo. Come nacque l’idea?

Faceva tanta radio, 10 ore a trasmissioni in diretta a settimana. Il maestro Cinico Angelini, direttore d’orchestra, era in contatto il direttore del Casinò di Sanremo e insieme decisero, nel 51, di fare il Festival, pescando tra gli artisti del momento: Togliani, Nilla Pizzi e il duo Fasano. Inizia quasi per gioco un’avventura che poi diventò quello che è oggi il Festival di Sanremo. Papà partecipò a sette edizioni arrivando sempre in vetta, secondo o terzo. All’epoca c’era il Festival di Napoli, che aveva una straordinaria forza e popolarità, poi cadde in disgrazia. E il Festival dei fiori si impose.

Un esperimento nazional-popolare ante litteram?

Un grande successo. Durante la prima edizione la gente ascoltava il festival mentre cenava. Ma in sala, a teatro, massimo rispetto per il dress code, non c’era una persona che non fosse in smoking.

Anche all’estero ebbe un grande successo

Nei primi anni ’60 con l’ondata beat, cambiarono i generi, le mode. Papà era un cantante melodico puro. Molti sui colleghi lasciarono, lui no. Deluso dall’Italia andò all’estero. Cantò ovunque e non solo a New York. Proponeva pezzi della nostra tradizione, da ‘O sole mio’ a ‘Come pioveva’. E anche lì ebbe un grande successo.

Bello, affascinante, seducente, che rapporto aveva con le donne? Fu uno sciupafemmine?

Non amava esibire la sua bellezza, non parlava mai di donne. Al massimo ti diceva “guarda che gambe”, abituato come era al mondo del teatro e della rivista. Tra le sue fiamme giovanili anche   Sophia Loren negli anni 50. Insieme hanno fatto un fotoromanzo e un film con Carlo Dapporto “Il paese dei campanelli”.

Nel ’74 il matrimonio, poi la tua nascita un anno dopo. Che padre era?

Non si vedeva molto, era sempre in giro. Aveva un grande senso del dovere e del lavoro. Nell’ultimo periodo, tra i miei 14 e 19 anni, fu più presente. Negli anni ’80 con l’esplosione dei videoregistratori e la riproposizione dei cataloghi dei vecchi film da parte delle tv ci fu quasi un’orgia televisiva. Lui, che da ragazzo bigiava la scuola per andare a vedere lo stesso film anche tre-quattro volte, ci fece comprare 7 videoregistratori per registrare in contemporanea. E la sera ci diceva ‘andiamo al cinema’ che significava sediamoci in salotto. Tutti, mia madre, la domestica, i miei amici: le sue proiezioni iniziavano alle 11 di sera e duravano fino all’una di notte. Guai ad andare a letto prima della fine.

Una voce, pulita, inconfondibile. Frutto di studio o talento  naturale?

Entrambe le cose. Ha avuto questo dono naturale, inciampò quasi nella canzone perché il suo sogno era il cinema. Lo notò Macario, gli disse ‘prova, studia’, doveva sostituire un cantante. La determinazione di papà era tale che si mise a studiare (provava anche 5 ore al giorno) e vinse la sfida diventando un’icona della canzone melodica italiana. Era caparbio. La sua esecuzione di Parlami d’amore Mariù fu unica. È stato lui a renderla famosa, più di De Sica. Poi l’hanno eseguita in tanti, Peppino Di Capri, Pavarotti, Mal. Ma quella di papà era la preferita dall’autore, Cesare Andrea Bixio come disse apertamente.

Interviste, ospitate televisive, il pressing per un ricordo all’interno della prossima edizione di Sanremo, c’è la volontà di ricordare

Sono stanco di vedere gente che si dimentica da dove viene, non parlo solo di mio padre. Se hai lasciato qualcosa nel paese, se hai portato eleganze e stile, se la tua voce ha fatto la storia del costume. Sulle note delle canzoni di Achille Togliani le persone si sono innamorate, sposate, fatto figli. Non si può dimenticare. E questo dovrebbe riguardare tutti i personaggi della nostra cultura.

 

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