Acca Larenzia, Segneri, sopravvissuto alla strage, ricorda quelle ore: esultavano mentre i miei amici morivano

12 Gen 2024 12:08 - di Bianca Conte
Acca Larenzia Segneri

C’era anche lui, Vincenzo Segneri, quel maledetto 7 gennaio di 46 anni fa, anche lui vittima di una esecuzione mirata ad uccidere, a cui è miracolosamente sopravvissuto perché ferito a un braccio, e perché era riuscito a rientrare nella sezione. A testimoniare la sua presenza sulla scena insanguinata di Acca Larenzia restano quelle foto in bianco e nero che lo ritraggono in ospedale, ferito ma salvo, come altri due superstiti dell’attacco. A far rivivere l’orrore di quei momenti e lo strazio del dopo sono le sue parole, affidate a un’intervista de Il Giornale in cui Segneri ripercorre quei drammatici momenti commenta le reazioni e le polemiche di oggi su quella strage e sulla sua commemorazione.

Acca Larenzia, quella maledetta sera nel ricordo di uno dei superstiti della strage: Vincenzo Segneri

Perché ancora oggi, nonostante quella di Acca Larenzia resti una strage senza un colpevole, ancora una volta a far rumore e scatenare le polemiche sono stati i saluti romani alla commemorazione. Un dato di fatto che Segneri, interpellato dal quotidiano diretto da Sallusti, si spiega asserendo: «Credo che il fallimento funzionale della democrazia contemporanea abbia bisogno dell’uomo nero da sbandierare come pericolo. Le polemiche di questi giorni sono uno degli elementi della disinformatia che gli avversari politici, presunti detentori del monopolio culturale, continuano a usare strumentalmente. Soprattutto adesso che il timone del Paese è retto dal centrodestra».

Acca Larenzia e Segneri: l’intervista al “Giornale”, il libro “La Metamorfosi di un Paese”

Ieri e oggi si alternano, si sovrappongono, si incastrano nei ricordi e nelle considerazioni odierne di Segneri, che sulla strage di Acca Larenzia ha scritto un libro: La Metamorfosi di un Paese. Pagine che iscrivono nel dolore e nel sacrificio di tanti giovani e giovanissimi un capitolo della nostra storia recente ancora da completare e da condividere. Un testo che propone una lettura ad ampio raggio di quella tragedia nella sezione missina del Tuscolano, che nell’intervista al giornale Segneri riassume e proietta dal presente di ieri a quello di oggi, spiegando: «Il terrorismo degli anni di piombo fu lo strumento utilizzato dalle frange estreme del comunismo per sovvertire l’Italia liberal-democratica del boom economico che si basava su valori come merito. Onestà. Lealtà. Dovere. Laboriosità. Imprenditorialità. Progettualità»…

Quel filo ininterrotto che lega fatti, ricordi, responsabilità e conseguenze

«Ma anche amore, matrimonio e sacralità della vita – prosegue Segneri –. Per poi cedere il passo a una collettività composta da una futile massa di indistinti, nella quale capacità e merito contano poco. E in cui la responsabilità della propria sopravvivenza – invece che guadagnata – viene pretesa da terzi come fosse un diritto. Il clima di intimidazione di quegli anni, oltre alle vittime che provocò, fu il terreno fertile nel quale vennero approvate leggi o promossi referendum che sancirono la fine del sistema liberal-democratico, e l’inizio di un sistema socialista oggettivamente degenerativo che ha portato per esempio al voto di scambio. Ad un irrecuperabile debito pubblico. E alla crisi della natalità».

Acca Larenzia, Segneri: fu uno spartiacque…

Una riflessione profonda quanto stratificata, quella di Segneri, che in un filo ininterrotto fatto di ricordi, analisi delle responsabilità e delle conseguenze, mette al centro della sua ricostruzione la strage di Acca Larenzia come uno spartiacque. E così osserva: «In quella comunità sotto attacco si saldarono rapporti di amicizia molto forti. L’efferatezza dei crimini comunisti e il senso di ingiustizia portarono molti a varcare il confine tra il bene e il male e a rovinare anche la propria vita».

«Lo shock dei momenti della strage, la vista della morte dei miei amici»

Vite interrotte dopo, vite spezzate quella sera, quando una raffica di colpi esplosi da una mitraglietta impugnata da estremisti rossi centravano nel mirino di sangue e morte il 20enne Franco Bigonzetti, colpito all’occhio e morto sul colpo. E il 18enne Francesco Ciavatta, raggiunto da un proiettile mentre provava a schivare i colpi e cercava di mettersi in salvo. Lui sarebbe spirato poco dopo quel vile agguato mortale, in ospedale. Così come dopo, ma quella sera stessa, sarebbe morto – freddato da un colpo esploso ad altezza d’uomo – anche Stefano Recchioni: l’attivista della sezione Colle Oppio, anche lui, come gli altri martiri di quella giornata di dolore e morte, meno che ventenni.

«Esultanza e disprezzo in ospedale mentre Ciavatta spirava davanti i miei occhi»

Volti, momenti, che Segneri non potrà mai dimenticare. E che rivive ancora una volta nel racconto reso con l’intervista. «Lo shock dei momenti della strage, la vista della morte dei miei amici, l’indifferenza e l’ostilità, il disprezzo se non la perfidia che ci circondava – Ciavatta, abbandonato sulla barella accanto a me in ospedale, spirò davanti ai miei occhi. Vidi il cadavere di Bigonzetti che era stato esposto in modo macabro ai fotografi, sentii gente esultare nelle radio per l’attentato – hanno lasciato in me un’amarezza profonda che mi ha fatto prendere coscienza della crudeltà umana».

Il miraggio della pacificazione

Così come, conclude nell‘intervista Segneri, la convinzione che «non ci possa essere mai una vera pacificazione, se non si rivedono i principi base della vita. Le divisioni politiche, anche se non portate all’estremo, vertono su questo punto: vivere secondo il proprio impegno utilizzando le proprie capacità fisiche ed intellettive. O contare sulla politica per sopravvivere accaparrando per sé risorse altrui? Questo, e non la forma che la mano prende, sarà per me lo spartiacque che distinguerà i buoni dai cattivi».

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