Valentini racconta in un libro quando Scalfari ordinò di raccontare la destra senza pregiudizi

2 Nov 2023 14:42 - di Annalisa Terranova
Valentini libro

Giovanni Valentini è testimone di un giornalismo ormai in estinzione, se non del tutto estinto. Un mondo in cui le prime pagine dei quotidiani e le agenzie di stampa dettavano l’agenda del dibattito pubblico. Oggi la stampa insegue i social.  E da ciò si capisce quanto sia cambiato l’ambiente della carta stampata che Valentini racconta nel suo libro “Il romanzo del giornalismo italiano” (La nave di Teseo). Mezzo secolo di vita e di professione, dal ticchettìo delle telescriventi al “dio Internet” che ha costretto i giornalisti a scendere dal piedistallo. Cinquant’anni che comprendono anche importanti trasformazioni della società italiana, scandali, stragi, camarille di potere, partiti che tramontano e movimenti che nascono. Tutto raccontato nel “romanzo” di Valentini, che contrasse il virus del giornalismo grazie al padre Oronzo, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno.

I ricordi di 50 anni di professio0ne: da Pertini a Scalfari, da Ingrao a Afeltra

Nel libro ci sono anche i ricordi, veri e propri “bozzetti” che ritraggono i tanti personaggi con cui l’autore ha avuto a che fare. Una serata a Selva di Val Gardena con Sandro Pertini che gli anticipa il discorso di Capodanno che leggerà il giorno dopo a reti unificate. Una richiesta negata da Pietro Ingrao che non volle abolire l’obbligo della cravatta a Montecitorio. L’incontro con Gaetano Afeltra quando Valentini viene assunto al Giorno che lo congedò così: “Si ricordi che io le didascalie le facevo scrivere a Dino Buzzati”. E ancora il lavoro preparatorio del primo numero di Repubblica, accanto a Eugenio Scalfari, per realizzare “un quotidiano settimanalizzato che tendeva a scavalcare le notizie per interpretarle, analizzarle e possibilmente rivelarne i retroscena”.

Il caso Tortora e il quasi sciopero dell’Espresso

Da direttore dell’Europeo, Valentini cercò di “togliere un po’ di polvere” a un giornale che appariva troppo austero e sofisticato. Una delle copertine da lui volute fece molto discutere e gli costò un processo: il settimanale pubblicò infatti la foto del cadavere di Aldo Moro sul tavolo dell’obitorio con un editoriale intitolato “Per non dimenticare”. Tornato a Repubblica, fu contattato da Berlusconi per lavorare nella sua tv. Offerta declinata nonostante l’allettante proposta del Cavaliere: “Non le chiedo quanto guadagna. Le offro il doppio”.

Finirà invece a dirigere L’Espresso (dal 1984 al 1991), affidando a Umberto Eco la prestigiosa rubrica “La bustina di Minerva”. E sul “suo” Espresso Forattini disegnò per la prima volta un Craxi in camicia nera nell’atto di incoronarsi da solo quando propose l’elezione diretta del premier. Inaugurando in questo modo un fortunato filone interpretativo del craxismo. Garantista sul caso Tortora, Valentini racconta anche che quando ricevette Marco Pannella in via Po i cronisti dell’Espresso quasi stavano per organizzare uno sciopero contro di lui. Erano schierati contro Tortora. Un vizio dei cronisti giudiziari, per cui l’indagato è sempre colpevole, non sempre frutto di buona fede.

A colazione con Pinuccio Tatarella

Nel 1991, reduce dalla “guerra di Segrate” per il controllo della Mondadori, Valentini torna a Repubblica, di cui diventerà vicedirettore. Osserva con attenzione l’ascesa della nuova destra di Alleanza nazionale, dedicando a Pinuccio Tatarella, nel 1994, un lungo servizio che partiva proprio dal radicamento della destra sociale nel Mezzogiorno e in particolare a Bari, città natale di Valentini. Un articolo che gli procurò qualche maldicenza di troppo, per esempio da parte del berlusconiano Carlo Rossella. Quel servizio rappresentò in ogni caso una tappa dello “sdoganamento” della destra politica (termine poco amato da Gianfranco Fini che ne fu tuttavia il principale beneficiario) con un’aggiunta non trascurabile: fu proprio Eugenio Scalfari a incoraggiare uno sguardo nuovo e diverso sulla destra che si affacciava al governo del paese dopo una lunga storia di opposizione e di ghettizzazione.

E Tatarella torna nel racconto di Valentini quando fu suo ospite in una cena riservata, per mediare con De Benedetti sull’affaire Omnitel, la cui licenza fu poi affidata all’Ingegnere. Un favore per il quale Valentini fu ripagato con un mazzo di fiori alla sua signora. Non arrivò in dono neanche un telefonino. E ciò a chiosa dei capitoli non proprio lusinghieri dedicati nel libro a De Benedetti.

Il compito del giornalista secondo Umberto Eco

Nel “romanzo” di Valentini, affiorano le simpatie e le antipatie, gli attriti, la vita redazionale non sempre facile, le intuizioni, gli errori. Fino al periodo attuale, quello dell’informazione circolare che tramite la rete ha trasformato l’informazione piramidale delle grandi e influenti testate oggi in difficoltà. Eppure -avverte l’autore – la rivoluzione digitale rappresenta una nuova formidabile sfida: obbliga alla concorrenza e alla selezione dei contenuti, indica la strada di una maggiore qualità per poter catturare l’attenzione nel mare magnum delle info veloci e gettate in pasto agli algoritmi. Una prova da affrontare con la consapevolezza di cosa è stata la storia del giornalismo italiano. Di qui il merito del libro di Valentini, che opportunamente cita una “massima” di Umberto Eco quanto mai attuale su un mestiere che forse non scomparirà molto presto: “Il compito del giornalista non è quello di convincere il lettore che egli sta dicendo la verità, bensì di avvertirlo che egli sta dicendo la ‘sua’ verità”.

 

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *