Saman, il pm chiede l’ergastolo per il padre e la madre, 30 anni per gli altri: “Mai un gesto di pietà”
Ergastolo con due anni di isolamento diurno per il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheen. Trent’anni per lo zio Danish Hasnain e i cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz. Sono queste le richieste della Procura di Reggio Emilia per i 5 imputati nel processo sulla morte della giovanissima pakistana Saman Abbas.
Saman, chiesto l’ergastolo per i genitori
Durissime le parole del pm Gaetano Paci. “Nessuno dei protagonisti di questo processo, a cominciare dal padre, ha voluto degnare questa ragazza di una espressione di pietà. Se non strumentale o capziosa”. Così in apertura della requisitoria del processo per l’omicidio di Saman Abbas. “Nessuno ha avuto un cedimento a un sentimento di umana pietà verso l’orrore, lo strazio che è stato compiuto a questa ragazza”.
Il pm: vicenda orribile, mai un segno di pietà
L’omicidio della 18enne pachistana (avvenuto a Novellara l’1 maggio del 2021) “è una vicenda terribile, di una tragicità immane. Nella quale la semplice laconicità del capo di imputazione indica il più odioso, atroce, aberrante e malvagio delitto che ci possa essere. Quello commesso dai genitori verso una figlia, con l’aiuto di altri familiari (due cugini e uno zio)”. Il procuratore ha quindi parlato della necessità di una sentenza “che abbia un senso restitutorio dell’oltraggio alla vita che è stato compiuto con questo barbaro e brutale omicidio”.
Persa la fiducia anche nel fidanzato Saqib
Nelle ultime ore prima della morte, Saman aveva perso fiducia anche nel suo fidanzato Saqib. “Tra le cose più toccanti di questa indagine, ci sono le chat che Saman si scambia con l’assistente sociale Francoise Agnello. Le trovo strazianti per tante ragioni”, dice ancora il pm di Reggio Emilia. “Lei fa ritorno a casa per prendere i documenti nella fiduciosa aspettativa che, di fronte al suo desiderio di libertà, la lasciassero andare”.
Un sistema di relazioni malato
Poi però emerge “la consapevolezza di trovarsi completamente da sola perché le era venuta meno anche la fiducia nell’uomo con cui voleva costruire la sua vita”. Saqib, infatti, “aveva assecondato” la sua scelta di tornare a casa. “Anche questo ragazzo ha dovuto scontrarsi con un sistema che non era soltanto meramente di relazione. Ma diventava una fonte di pericolo per l’incolumità sua e dei suoi familiari”.
La famiglia Abbas come una cosca calabrese
Nel corso della requisitoria del processo per la morte della ragazza -che aveva rifiutato un matrimonio combinato- ha paragonato la famiglia Abbas a una ‘ndrina calabrese, cioè una cosca della ‘ndrangheta. Il procuratore Paci si è soffermato poi sulla figura del fratello minore di Saman. E la sua “limitata capacità intellettiva data la minore età”. L’accusa ha così ridimensionato la figura di un testimone che le difese hanno “sopravvalutato”, solo per confutarne le dichiarazioni fatte contro i loro assistiti.