Rumore al posto del minuto di silenzio. Un pene in prima pagina sul Fatto: sicuri che sia la strada giusta?
Facciamo rumore per Giulia. Una scelta che è, ancora una volta, tutta ideologica. Nei licei romani, ci informa Ansa.it, gli studenti hanno un solo pensiero: opporsi al ministro Valditara che ha chiesto un minuto di silenzio per l’ennesima vittima di femminicidio.
Il rumore opposto al silenzio: rabbia opposta al rispetto
Al Manara, al Morgagni, all’Orazio e al Tasso, così come al Farnesina, al Virgilio, al Talete e al Mamiani e in molti altri licei della capitale gli studenti si oppongono al minuto di silenzio del ministro. “Nelle aule, nei corridoi, diciamo no a un silenzio assordante. Bruciamo tutto.
Fate rumore con ciò che potete”. E così, la vittima passa in secondo piano. In primo piano c’è la lotta al patriarcato, di cui il governo Meloni sarebbe espressione secondo la vulgata che da giorni la sinistra si affanna a propagandare. E meno male che Elly Schlein aveva chiesto collaborazione e trasversalità contro i femminicidi.
L’uscita indecente del consigliere Valdegamberi
La tentazione di sfruttare anche questa vittima per fare battaglia politica fa perdere il senno a troppi. Complici anche uscite indecenti contro la sorella di Giulia, Elena. Come quella del consigliere veneto di centrodestra Valdegamberi che l’ha accusata di “satanismo”. E tuttavia, il minuto di silenzio è da sempre il rispettoso tributo con cui si onora una vittima. Il rumore appartiene invece, in questo caso, a un ribellismo inconcludente.
Bruciare tutto? E poi che fare?
Se un nuovo femminismo deve nascere da questa tragedia che ha coinvolto la giovane Giulia Cecchettin bisognerebbe mettere a fuoco il nemico, o i nemici da combattere. Il patriarcato o il maschilismo? Tutti i maschi o i maschi violenti? la famiglia tradizionale o la fine delle relazioni solidali in una società atomizzata? Il dilemma è uno solo: bruciare tutto o ragionare e cercare alternative, coltivare una speranza oltre le ideologie?
Il pene in prima pagina sul Fatto
Per sguazzare in questo ritorno della parola d’ordine del “patriarcato” che sarebbe responsabile della sofferenza delle donne contemporanee, degli stupri, dei femminicidi, della disparità salariale, Mannelli ha disegnato un pene nella vignetta in prima pagina sul Fatto con la scritta “Stato diritto” anziché “Stato di diritto”. E’ un singolare corto circuito: esibire un pene come simbolo negativo quando le femministe degli anni Settanta portavano in corteo il simbolo della vagina riprodotto con le mani unendo pollici e indici a formare un triangolo.
La donna sempre vittima e l’uomo sempre in agguato
Lì si evocava libertà sessuale, oggi no. Oggi – come ha scritto Joanna Bourke nel suo “Stupro. Storia della violenza sessuale” – si vuole fare dell’Uomo una “minaccia amorfa, costantemente in agguato. Allora la Donna è sempre terrorizzata. In quanto essere femminile, la donna è già vittima, il soggetto di genere ferito e sofferente. La donna viene definita in relazione a ‘lui’, il pene”.
No, non è la prospettiva che le donne possono desiderare. Non è questa la strada giusta per restituire dignità alle vittime della violenza e dei femminicidi. E’ solo una forma di isteria collettiva. Destinata a far peggiorare le relazioni sociali tra persone, tra donne e uomini, già abbondantemente deteriorate.