Giustizia “giusta”, arrivano le pagelle: i magistrati che sbagliano non saranno più promossi

28 Nov 2023 9:11 - di Leo Malaspina

Giustizia, si cambia, nei giorni delle polemiche più aspre tra governo e magistratura dopo le denunce sulle intenzioni delle toghe rosse di fare “opposizione giudiziaria” arrivate dal ministro Crosetto. Ieri, in Consiglio dei ministri, sono arrivate alcune misure destinate ad alimentare, probabilmente, lo scontro tra Anm ed esecutivo, in primis un meccanismo di valutazione dei giudici sula base dei processi più o meno fondati rispetto alle accuse formulate, le cosiddette “pagelle”. Sfumata, invece, l’ipotesi di test psico attitudinali per l’ingresso in magistratura. Ieri il governo ha approvato due decreti legislativi in materia di ordinamento giudiziario che riguardano sia la disciplina dell’ingresso in magistratura e le valutazioni sulla professionalità delle toghe  che una stretta alla normativa del collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili.

Giustizia, arrivano le pagelle dei magistrati

Nel progetto di riforma del governo arriva il “fascicolo del magistrato” istituito presso il Csm, che valuterà la toga con promozioni e bocciature, ogni quattro anni, a partire dalla data di nomina, esame che finirà solo dopo la settima valutazione (ovvero dopo almeno ventotto anni di carriera). I criteri di valutazione, nelle cosiddette “pagelle”, saranno quattro. Il primo, il “possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine”, “la conduzione dell’udienza da parte di chi la dirige e la presiede”, il secondo “la produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e tempo di smaltimento del lavoro”, il terzo la diligenza, ovvero “l’assiduità e puntualità nella presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti e il rispetto dei termini per la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie”. Infine l’impegno, il quarto criterio, ovvero “la disponibilità per sostituzioni di magistrati assenti e la frequenza di corsi di aggiornamento”.

Maggiore rilievo, rispetto al passato, alla sussistenza “di gravi anomalie” sull’esito delle “fasi e gradi del procedimento e del giudizio e in particolare al rigetto delle richieste formulate dal pm” o alla “riforma dei provvedimenti dei magistrati giudicanti” e che siano legati “a motivi particolarmente gravi o siano particolarmente numerosi”.

In caso di valutazione non positiva o negativa di un magistrato, si riducono le ipotesi di dispensa dal servizio, prevedendo comunque penalizzazioni economiche e di carriera. Attualmente, dopo una valutazione negativa, per non essere escluso dalla magistratura occorreva per il magistrato avere obbligatoriamente una valutazione positiva. Con la riforma, ora può esserci anche una valutazione non-positiva (che è diversa da negativa): in questo caso il magistrato rimane in magistratura, è rivalutato dopo un anno e perde aumento di stipendio e progressione di carriera.

Il collocamento dei fuori ruolo

I magistrati non potranno essere collocati fuori ruolo prima di dieci anni di effettivo esercizio della giurisdizione e, fatti salvi incarichi presso istituzioni di particolare rilievo, sono necessari tre anni di esercizio prima di un nuovo collocamento fuori ruolo se il primo incarico ha avuto una durata superiore a cinque anni. Viene inoltre codificato il principio della necessaria sussistenza di un interesse dell’amministrazione di appartenenza per consentire l’incarico fuori ruolo. Viene ridotto il numero massimo di magistrati collocati fuori ruolo: 180 per la magistratura ordinaria. È introdotto, come elemento preclusivo, la scopertura dell’ufficio di provenienza, rimettendone la concreta determinazione della percentuale di scopertura rilevante agli organi di autogoverno.

Sono previste “specifiche eccezioni e deroghe”. Si individuano i “contingenti massimi di magistrati che possono essere collocati fuori ruolo (ordinari: 180 unità; amministrativi: 25 unità; contabili: 25 unità), in coerenza con la delega che ne impone la riduzione rispetto alla disciplina vigente”. Inoltre, spiega palazzo Chigi, “si prevede che il collocamento fuori ruolo è autorizzato quando l’incarico da conferire corrisponda a un interesse dell’amministrazione di appartenenza e si afferma il principio che non può essere destinato allo svolgimento di funzioni non giudiziarie il magistrato la cui sede di servizio presenti un rilevante indice di scopertura dell’organico o se il magistrato sia impegnato nella trattazione di procedimenti penali per gravi reati in avanzato stato di istruttoria rispetto ai quali il suo allontanamento possa incidere gravemente sui tempi di definizione”.

 

 

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