Milano, 7 rapine su 10 commesse da stranieri: Capezzone racconta l’effetto dell’immigrazione sulla sicurezza
In un lungo articolo su Libero, che ha il tenore del vero e proprio reportage, Daniele Capezzone racconta il suo “giorno in Questura” a Milano, fornendo un quadro dettagliato di come il peso dell’immigrazione irregolare impatti sulla sicurezza dei cittadini, sia in termini di crimini commessi, sia in termini di lavoro della polizia, che impegna un’ingente quantità di agenti e tempo per sbrigare le pratiche burocratiche con l’inevitabilmente conseguenza di meno agenti in strada e, dunque, a presidiare il territorio.
A Milano 7 rapine su 10 commesse da stranieri
Il direttore editoriale di Libero parte dall’impatto sui cittadini più forte e immediato prodotto dall’immigrazione fuori controllo: il numero dei reati. L’ultima relazione annuale sull’attività della Polizia di Stato nel territorio milanese, risalente a qualche mese fa, riferisce che il 73% del totale degli arrestati per rapine in strada è costituito da stranieri; se si considerano poi i furti con destrezza la percentuale sale al 95%. Presentando la relazione, il questore Giuseppe Petronzi aveva invitato a “una riflessione serena e di carattere sociologico” su quei dati. Parlando con Capezzone ha sottolineato il problema delle recidive: “Lei comprende che la questione della recidiva incide sulla sostanza dei fatti, non sulla loro percezione”, ha detto il questore.
Il problema delle recidive
Il punto è che la polizia, con 4.600 arresti – una media di 13 al giorno – e 16.700 denunce tra Milano e provincia, fa la sua parte. Se poi però gli arrestati vengono rimessi in libertà il giorno dopo e sono consapevoli di poter godere di una sostanziale impunità, il lavoro della polizia è sostanzialmente vano. Quello della recidiva non riguarda “solo” reati come i furti, ma anche reati odiosi come le aggressioni sessuali. Sempre in occasione della relazione annuale, Petronzi riferì a titolo esplicativo il caso di uno straniero che “era già stato condannato ed aveva scontato la pena in carcere per rapina e un’altra violenza. Dopo la scarcerazione, era stato nuovamente arrestato per resistenza nel luglio dell’anno scorso e rilasciato a novembre”. Riportando quelle parole, Capezzone si domanda dunque: “Cos’altro serve per capire? Ricordatevelo ogni volta che sentirete protestare, da sinistra, contro la presunta ‘deriva securitaria’ del governo o contro il recente giro di vite sui centri di permanenza. L’alternativa è lasciare in strada soggetti simili, con le relative conseguenze: basta saperlo”.
L’escamotage delle richieste d’asilo per rimanere in Italia indisturbati
Dopo aver presentato le statistiche sui reati, Capezzone sposta l’attenzione su un altro aspetto dell’immigrazione che impatta in modo importante sul lavoro della polizia: quello dei permessi di soggiorno e delle domande d’asilo. Sui primi, che riguardano gli immigrati regolari, non si registrano particolari criticità. È invece sulle seconde che si sprofonda nuovamente in una terra di nessuno, nella quale il lassismo di certe leggi e la macchinosità della burocrazia consentono anche chi non ne ha alcun diritto di permanere indisturbato per un paio d’anni su suolo italiano. Con tanto di “benestare”, ovvero i permessi di soggiorno provvisori che vengono rilasciati in attesa di un pronunciamento sulla domanda d’asilo. Il meccanismo, noto e descritto con puntualità dal direttore editoriale di Libero, è questo: gli immigrati irregolari che arrivano in Italia fanno domanda d’asilo, solo il 10-12% ne ha veramente i requisiti e lo otterrà, ma anche chi sa di non avere i requisiti presenta la richiesta. La sola presentazione della domanda, infatti, di per sé rappresenta un salvacondotto di diversi mesi: c’è da attendere l’esito e poi ci sarà la possibilità di fare ricorso in caso di diniego. Nel frattempo passano un anno e mezzo, due anni e non si può essere espulsi.
Il nodo delle espulsioni
Anche quando, poi, alla fine di questo periodo arriva l’ordine di lasciare il territorio italiano le possibilità che si aprono per aggirarlo sono molteplici. “Qui – commenta Capezzone – si arriva alle note dolentissime. Sono gli stessi agenti a raccontarmi con sconforto le tre opzioni. Nei casi migliori, quando è accertato che il soggetto non ha alcun titolo per restare in Italia, scatta il rimpatrio con volo charter. Altrimenti, è previsto il trattenimento presso i centri di permanenza. Solo il giorno precedente alla mia visita, Milano aveva organizzato spostamenti verso Potenza, Roma e Gorizia. Si badi bene: è richiesto l’impiego di due agenti per ogni straniero da spostare, quindi un impegno notevolissimo di uomini e mezzi. La terza opzione è la più imbarazzante: si verifica quando lo straniero riceve un mero ‘ordine di lasciare il territorio in 7 giorni’, cosa che, spesso tra le risate degli irregolari più scafati, non viene ovviamente mai eseguita. Sta di fatto che nel 2022 Milano ha realizzato appena 320 espulsioni”. “Cari lettori – scrive ancora il direttore editoriale di Libero – sta qui il punto. Finché i confini restano aperti, il sistema potrà solo produrre costi materiali ingentissimi, un aggravio di lavoro pazzesco per le forze dell’ordine (ammirevole la serietà, la compostezza, la pazienza di tutti gli operatori che ho incontrato), ma in ultima analisi un’invasione in piena regola”.
La burocrazia tiene molti agenti lontani dalle strade
Tutto questo ha anche un effetto “secondario” sulla sicurezza dei cittadini, perché “la quantità di lavoro a carico della Questura fa impressione”. “Solo a Milano – ricorda Capezzone – gli stranieri regolari residenti sono 510mila, il che determina una media di 180mila rinnovi annuali di permessi. A cui si aggiungono altre 17mila richieste annuali, nei termini descritti prima, da parte di irregolari o aspiranti rifugiati. Morale: se Brescia ha 196mila abitanti, l’ufficio della Questura di Via Montebello finisce per gestire 200mila pratiche l’anno di questo tipo. Scherzando ma non troppo, chi ha la responsabilità di questo settore mi dice di essere ‘il secondo sindaco lombardo’ per numeri”. Una mole di lavoro che, inevitabilmente, costringe negli uffici un gran numero di agenti, sottraendoli di fatto al lavoro in strada.