Disney non azzecca più un film: dettami woke e ossessioni gender affossano i conti. Tutti i flop

19 Ott 2023 9:56 - di Priscilla Del Ninno
Disney

La Disney devota al politicamente corretto sprofonda nel rosso dei conti e in una crisi che più nera non si può. Una lunga scia di insuccessi che affossano il botteghino, quello della storica casa di Topolino, un tempo fabbrica dei sogni e oggi officina dell’incubo che anima dai mostri che nei live action della fata madrina genderless di Cenerentola e nella Biancaneve rivisitata e corretta, stravolgono prototipi letterari e copioni spettacolari trasformandoli in noiosissime e assai poco accattivanti narrazioni in cui spettri razzisti e orchi oscurantisti inneggiano – non proprio in sottofondo – a eroine liberal e femministe e a protagonisti che strizzano l’occhio a Greta Thunberg e cultura woke.

La Disney? Non azzecca più un film

Un abisso flop, quello che sta risucchiando il “Disney world”, avvinto da una spirale di mancati incassi e bocciature del pubblico che l’inatteso insuccesso di Elemental – tanto per restare agli ultimi titoli usciti nelle sale o di recente uscita –. Come l’indifferenza ostentata dagli spettatori nei confronti della sirenetta nera affidata alle cure istrioniche di Halle Bailey che cozzano contro la tradizione tutta danese dell’autore Hans Christian Andersen, confermano amaramente. Una Waterloo dell’azienda- impero statunitense che oggi i numeri attestano con la drammatica veridicità dei riscontri matematici.

Da ex fabbrica del sogno a officina del politicamente corretto: e i conti non tornano…

Non è un caso allora che in casa Disney, dove regna il diktat dell’interpretazione iper-liberal della realtà, i conti non tornino: e da già da un bel po’. E così, anche oggi, in una dettagliata e approfondita riflessione Libero annota: «La sua strategia di «crescita rinnovata» ha portato ad imperfetti tagli col machete: 7000 dipendenti affossati dall’effetto woke in cui annaspa l’azienda. Woke. Ovvero la stessa ideologia che, secondo i recenti report di Bloomberg, ha fatto perdere alla Disney 900 milioni di euro. E tutto ciò semplicemente a causa degli ultimi film non esattamente all’altezza delle aspettative. In più, s’aggiunga il calo di DisneyWorld e il ribasso di abbonati alla piattaforma streaming Disney+».

Flop, l’ultimo trend della Disney in inarrestabile crescita

Ormai, insomma, sta diventando una sinistra abitudine quella al flop d’incassi e agli storcimenti di naso degli spettatori. E anche qui i numeri parlano chiaro: 200 milioni di budget (più 100 di marketing) per l’avventura nel mondo degli elementi, che ne ha incassati 450 lordi. Non è assolutamente abbastanza. E non era certo andata meglio con RedSoul, Onward, Encanto, Lightyeare, gli ultimi live action. Tutti figli di celluloide e di un Dio minore che li vuole sudditi di reami ideologici e vittime di distorsioni narrative che il pubblico boccia severamente snobbando le sale, a fronte di slanci produttivi e ottimismo distributivo.

Disney sempre più schiava di cultura gender, dettami woke e ossessione politically correct

Un processo creativo che nelle intenzioni doveva rendere giustizia a minoranze sempre più numerose e rumorose, che ha proiettato sul grande schermo l’ombra di una società magmatica, che si vuole sempre più indistinta e confusa. E allora: dalla famiglia omo-genitoriale con figlioletto annesso di Lightyear, alle avventure senza pepe dell’ultimo Indiana Jones. Passando per il Peter Pan dal sospetto “razzista”, dove gli indiani sono chiamati «pellerossa», e vengono rappresentati in tutta la loro mancata integrazione – con abiti tradizionali mentre parlano una lingua incomprensibile – eccoci qua… il flop è assicurato.

La china delle revisione “femminista” da “Ribelle” a “Frozen”, fino a Biancaneve

E tanto per restare agli ultimi “insuccessi annunciati”, dopo le eroine di Ribelle e Frozen pronte a rinnegare il principe azzurro e a salvarsi da sole – e a riecheggiare il vecchio adagio femminista «io sono mia» – ecco arrivare la “nuova” Biancaneve “ispanica”, rivisitata e corretta in nome e per conto del manifesto ideologico “woke”. E puntualmente, il caso della fanciulla protagonista del classico dell’animazione, nata artisticamente nel 1939, l’adattamento live action della fiaba dei fratelli Grimm nelle mani di revisionisti e apologeti della ideologia politicamente corretta, solleva delusione e anima le recriminazioni. O meglio, fa storcere il naso il tentativo inarrestabile di trasformare l’archetipo letterario, e la sua prima rilettura cinematografica, in un manuale di diktat imprescindibili, asserviti a gender e woke.

Epurare il cuore della fiaba non aiuta il botteghino…

Dettami ormai contrattualizzati negli Studios, e prodromici a una sceneggiatura in cui i sette nani, rigorosamente uomini e donne di etnie diverse, diventano «creature magiche». Soggetti attraverso cui, sottolineano gli stessi Studios, «evitare di rafforzare gli stereotipi». Puntellando però, di contro, l’immaginario in corso di istituzionalizzazione che, tra libere ispirazioni e forzature mal mimetizzate, rivisita e snatura una “fiaba” classica. Un plot, quello del film in arrivo, in cui dopo aver criminalizzato il bacio finale, bollato come «non consensuale», tra la Biancaneve e il principe nell’atto di risvegliare la fanciulla, adesso sparisce proprio del tutto la figura dell’eroe in sella al suo cavallo bianco. E della fiaba, ancora una volta, epurato il cuore originale, resta ben poco…

 

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