Claudio Foti si sente vittima della giustizia indiziaria: “Non seguivo io gli affidi di Bibbiano”
Lo psicoterapeuta del “caso Bibbiano”, Claudio Foti, è stato assolto in secondo grado dalle accuse di abuso d’ufficio e lesioni psicologiche gravi relative al caso di una delle sue pazienti. La Corte di Bologna non ha ritenuto sufficienti né fondanti le prove dell’accusa. Ma la vicenda giudiziaria di Foti non si è conclusa: proprio oggi l’Ansa ha dato notizia del ricorso in Cassazione della procura generale di Bologna. Lo psicoterapeuta ritiene di essere stato vittima di una persecuzione, di quella che chiama “giustizia indiziaria”.
Lei ritiene di non avere nulla da rimproverarsi in questa vicenda?
Io da 40 anni mi occupo con impegno e passione della tutela dei bambini che sono le personcine più fragili da difendere. E mi occupo di violenze nei confronti delle donne. Mi sono trovato coinvolto in questa vicenda in cui è stato enfatizzato il mio ruolo. No, non non ho nulla da rimproverarmi. Pensi che in questa vicenda sono stato presentato nei primi sei mesi successivi all’arresto come il boss di una cupola degli affidi. Io non ho seguito neppure un caso di affidi invece, perché ero esterno al servizio della Val d’Enza.
L’accusa più grave nei suoi confronti riguardava un’adolescente che avrebbe poi manifestato, dopo le sedute con lei, comportamenti borderline. Anche su questo non si rimprovera nulla?
La paziente ben prima di conoscermi faceva uso di sostanze stupefacenti. Addebitare questo a un evento successivo è un’assurdità. Quanto poi alla genesi del disturbo di personalità borderline che le mie sedute avrebbero determinato la Corte d’appello ha fatto giustizia in maniera molto chiara stabilendo che quel disturbo di personalità non può essere addebitato ad alcune sedute di psicoterapia ma ad un insieme di vicende traumatiche che avvengono nei primi sei anni di vita.
Posso insistere dottore? E’ possibile che dopo quattro anni e dopo tutto ciò che è comunque emerso dal caso Bibbiano, al di là della sua singola responsabilità, lei non si sia mai messo in discussione?
Noi siamo abituati a riflettere quotidianamente sulla nostra prassi. Ricorriamo alla discussione con altri colleghi, ricorriamo alla supervisione di un collega più anziano per valutare il nostro operato. Non posso essere stato io a sollecitare, nel caso di questa paziente, un fattore causale che ha determinato quello specifico disturbo di personalità. La mia comunità professionale ha preso posizione su questo. Ci sono stati 227 psicoterapeuti di varie correnti i quali hanno sostenuto questo punto di vista. La mia condanna in primo grado è avvenuta a seguito di una consulenza che non aveva requisiti scientifici.
Tuttavia la paziente di cui stiamo parlando si convinse di abusi da parte del padre che non erano veri…
La narrazione di una serie di eventi traumatici che la ragazza mi ha fatto è la stessa, medesima, identica narrazione che la ragazza ha fatto prima del mio arrivo ad altri operatori e alla stessa madre. E negli stessi termini. Quindi le cose che racconta a me non possono essere risultato di interventi induttivi da parte mia.
Il caso Bibbiano non ha coinvolto solo il personaggio Claudio Foti ma ha anche messo in contrapposizione due visioni opposte: da una parte chi dice che lo Stato è il primo responsabile del minore e dunque può scavalcare la famiglia e dall’altra parte chi dice che la famiglia è il solo luogo in cui il bambino può crescere in serenità e dunque non va allontanato per episodi di lieve entità o addirittura inesistenti.
Posso affermare con chiarezza che occorre superare la contrapposizione ideologica tra chi sostiene l’aiuto alle famiglie che vivono condizioni di disagio e chi si impegna per la protezione dei bambini. Non deve esserci aut-aut ma occorre introdurre logica dell’ et-et. Cioè da un lato la famiglia è un’istituzione fondamentale al cui interno i bambini possono crescere in modo ottimale. Dall’altro lato il grande psicanalista britannico John Bowlby ci insegna che, se una comunità ha a cuore i suoi bambini, deve proteggere i genitori di questi bambini. Le famiglie in difficoltà vanno primariamente aiutate in senso economico e sociale. Io ho iniziato a lavorare con Hansel e Gretel facendo gruppi per i genitori. Mi sono impegnato in scuole per i genitori. Ho scritto “Famiglia e figli. Quanto amore e quanto stress“. Quindi da un lato mi pare di aver chiarito che il sostegno alla famiglia è valore fondamentale. Dall’altra parte la migliore comunità sociale che riesca a dare aiuto a famiglie in via ottimale non può abbandonare l’idea di una tutela ai bambini. Dal 2000 al 2020 ci sono stati 500 bambini che sono morti in famiglia.
Tuttavia dieci bambini coinvolti nel caso Bibbiano sono tornati alle loro famiglie. Significa che non c’erano i presupposti per allontanarli.
Ripeto: io non ho mai seguito un solo affido nel contesto di Bibbiano. Occorre verificare bene. Molti di questi affidi prima degli arresti prevedevano il rientro dei bambini in famiglia. Molti affidi sono consensuali e laddove non sono consensuali bisogna prevedere un termine di rientro.
Alcune condotte degli assistenti sociali sono state quindi esagerate?
Ciò che non mi convince è la barbarie sociale che c’è stata, il linciaggio in fase istruttoria degli indagati, il processo mediatico che si confonde con il processo giudiziario. A me è toccato questo trattamento. Invece che essere presentato come innocente in attesa di giudizio sono stato presentato come colpevole in attesa di condanna.
Lei è stato consulente anche per il processo per un caso di pedofilia che riguardava l’asilo di Rignano Flaminio e il cui processo terminò con un’assoluzione di tutti gli imputati. E’ corretto?
I consulenti che condividevano la tesi dell’accusa erano una quindicina. Tutti hanno confermato l’attendibilità delle testimonianze e hanno confermato che c’erano le premesse per poter andare a processo. Io non ero nel collegio del gip, io ho guardato i bambini dietro uno specchio unidirezionale. Eppure si è voluto assolutizzare il mio ruolo per dimostrare che ero la personificazione del male. Il punto fondamentale è la mistificazione: addossare a un consulente le responsabilità di un processo. Mi indigna la rappresentazione di me come forcaiolo. La gogna contro il consulente di un processo è barbarie.
E’ vero che lei ha detto che “la rabbia verso i genitori violenti o trascuranti è passaggio obbligato della terapia”?
Penso che la rabbia sia un sentimento anche potenzialmente logorante per chi lo vive. Io credo di essere sopravvissuto a quello che ho patito anche perché non ho coltivato la rabbia. Se mi trovo dinanzi a un paziente che è stato distrutto moralmente e psicologicamente la rabbia che già esiste in quel soggetto va espressa, lo devo aiutare ad esprimerla perché la rabbia non marcisca dentro.
I media hanno scritto che lei ha scelto la psicoterapia come mestiere perché è stato un bambino abusato. E’ vero?
La maggior parte dei terapeuti ha incontrato in qualche modo una sofferenza. Non corrisponde al vero che io ho subìto abusi o maltrattamenti gravi. Certamente ho incontrato la sofferenza nella mia condizione infantile. Lo psicanalista prima di affrontare i casini altrui deve passare un certo periodo della sua vita ad affrontare i suoi casini personali. Io ho fatto analisi per sei anni e mezzo, tre volte alla settimana.
Lei si sente una vittima?
La mia vita da un giorno all’altro è cambiata radicalmente. Io ero un professionista affermato, conosciuto, che girava l’Italia, che ha lavorato nella maggior parte delle regioni italiane. Da un giorno all’altro il cambiamento è stato brusco, mi sono ritrovato attaccato nella mia immagine personale e professionale, ho perso il 95% del mio lavoro, anche i miei figli sono stati attaccati. Mi sono trovato con uno stress da ingiustizia indiziaria che è uno stress molto rischioso, potenzialmente lesivo, perché ti senti impotente, il tuo nome va nei tg e tu non puoi far nulla. Per quattro anni il mio onore è stato calpestato da ondate di fango.
Che cosa fa adesso? Ha ripreso a lavorare?
Sì, ho potuto riprendere il mio lavoro. Ora la mia attività si sta rilanciando. Uno dei modi in cui ho affrontato questa situazione è stata la scrittura. Sto ultimando un libro che si chiama “Lettere dal trauma”, che si basa sulla mia esperienza con i miei pazienti. Ciò che io ho dato loro e ciò che loro hanno dato a me.