Ustica, spunta la terza ipotesi: né missile, né bomba ma la devastante “scia” di un altro aereo
“Tirarono su dal mare 4.200 pezzi di lamiera, plastica e gomma. Ci mettemmo due anni a ricomporre il puzzle. Al relitto ci lavorammo in cinque. Eravamo io, due del mio dipartimento di Ingegneria aerospaziale di Pisa, due tecnici di Alitalia. Confrontavamo colori e dimensioni con le foto, poi li attaccavamo su un simulacro di tubi innocenti che avevamo costruito. La fiancata destra, tutta frammentata, fu complicatissima. Ma alla fine ottenemmo indicazioni che io ritengo chiare e tuttora valide: né una bomba né un missile, neanche un missile esploso nelle vicinanze della fusoliera, sono la ragione dell’incidente”. Il giorno dopo i “chiarimenti” di Giuliano Amato sulla pista francese del Dc di Ustica, su ‘Repubblica‘ Carlo Casarosa, professore di Meccanica del volo in pensione che fece parte del collegio dei periti incaricato dal giudice Priore di capire cosa aveva provocato la caduta del Dc-9 Itavia la notte del 27 giugno del 1980, apre la strada a una terza ipotesi, mai valorizzata dalle indagini.
Ustica, la pista della scia di un algro aereo
“Il relitto non mostra tracce compatibili a queste ipotesi. L’aereo si è disintegrato in volo perché superò quello che in gergo si chiama ‘fattore di carico massimo’, innescato dal distacco dell’estremità dell’ala sinistra. – spiega Casarosa – e può essere provocato l’essere entrato in una scia vorticosa lasciata da un aeroplano che lo precedeva. Questa è la verità ingegneristica, che deriva da calcoli e valutazioni sul relitto”.
“Io avevo scritto quei tre volumi. Pochi giorni prima della consegna, però, i coordinatori del collegio mi dissero che le conclusioni le avrebbero scritte loro. Per me andava bene. Quando mi mandarono la bozza, scoprii che con una mezza pagina e trentatré parole avevano scartato sia l’ipotesi del missile sia quella della quasi collisione, sostenendo che restasse solo quella della bomba. Scrissero il contrario di quanto sostenevo io. – conclude Casarosa – Ero sconcertato, quindi scrissi la famosa nota aggiuntiva, firmata da me e da un altro perito, nella quale inserii la mia conclusione. Che, all’epoca, prima di avere i risultati di analisi fatte in seguito, rimaneva sì in bilico tra quasi collisione e bomba, ma non dava per certo quest’ultima. Test successivi mi hanno convinto, al 100 per 100, della quasi collisione”.