Extraprofitti bancari, l’imposta è giusta: ecco perché ha ragione Giorgia Meloni
Nella destra di oggi vive un’anima sociale che c’è nella destra di sempre: non statalista, né socialista, ma miscelata a una visione liberale. È un equilibrio tra due tendenze, chiamatelo “lib-lab”, o come vi pare, voi della Crusca politica. Ma non aspettatevi che l’una sopravanzi o nientifichi l’altra. Coesistono, cooperano; talvolta confliggono e cercano una sintesi. È la sua storia. E in fondo è anche la dinamica che regola il più largo centrodestra.
Le banche non aumentano gli interessi in favore dei correntisti
Adesso, dell’imposta calata dal governo Meloni sugli extraprofitti bancari – preceduta dalla tassa di Draghi su quelli energetici: non ricordate più? – alcuni osservatori vogliono fare passare l’idea che la tassazione imposta dalla premier – da lei in prima persona – produca un danno per il popolo. Diciamo la verità: taluni osservatori lo fanno per convinzione propria, altri per convinzione di chi li paga; vabbè, in qualche caso le ragioni coincidono, o si fanno coincidere: bisogna guadagnarsi la pagnotta; è giusto così. Ma è a famiglie italiane, a ceti medi e minuti – è il contrario di ciò che predicano – che andranno i due miliardi o giù di lì ricavati dalla leggera spremitura delle banche. Non a risanare il bilancio dello Stato, come strilla Cristina Lagarde, ma quello della gente a cui sono destinati. Però ammiro le acrobazie e l’audacia delle arrampicate sugli specchi. Suvvia, il re è nudo: nonostante la stretta della Bce, non si ha traccia di aumenti significativi delle banche in favore di chi ha risparmi nelle filiali. Perché? Domanda a cui nessun istituto di credito, né chi li rappresenta, ha saputo dare una risposta. Perché? Semplice: la risposta non c’è. Ma ci torno. Voglio fermare una riflessione più a monte.
La strategia del governo: mix di interventi sociali e liberali
La strategia economica del governo Meloni si fonda su un portfolio di interventi: riforma radicale del furbastro reddito cittadinanza; revisione del truffaldino bonus edilizio 110%; revoca degli incentivi alle imprese che dislocano all’estero; limitazione al libertinaggio di tariffa delle compagnie aeree; taglio duraturo – eh sì, strutturato, “di là” non credevano – del cuneo fiscale: cioè più soldi in tasca ai lavoratori; e tassazione degli extraprofitti bancari. Con una cornice: la critica spietata, coltello tra i denti, alle politiche depressive della Banca centrale europea guidata dalla Lagarde. Di questi provvedimenti quali sono quelli dirigisti e quelli liberali? Che dite voi? Provate a catalogarli? Per me è un mix: alcuni sono di più concorrenza e mercato dei beni; taluni di contenimento della spesa fuori controllo; altri sono più “sociali”, con discesa in campo dello Stato regolatore. La guida a destra crea una “medietà” tra paperoni dell’economia e paperini ai pioli medio-bassi della scala sociale: con una mano elimina storture alla concorrenza e con l’altra redistribuisce risorse, corregge parossistiche alterazioni del mercato e profitti “indebiti”; non sottrae legittimi utili aziendali; contiene – per alcuni troppo poco – profitti piovuti dal cielo sopra Francoforte.
La sinistra politica e sindacale è azzittita
È il caso degli extraprofitti bancari. Le cose vanno chiamate col loro nome. Gli “extra” sono imprevisti e improvvisi incrementi dei profitti delle banche, non legati all’andamento ordinario della concorrenza, ma al suo contrario: a “misure pubbliche”, in questo caso della Bce la quale ha imposto l’aumento del tasso di interesse per fronteggiare l’inflazione. A farne le spese è proprio la gente comune, inclusa la “working class”, che accede ai mutui per farsi la casa o per finanziare spese personali e di famiglia. È stata una decisione che si è intestata la presidente del Consiglio: coraggiosa. Vi devo spiegare perché? Arrivateci da soli. E rispondetevi perché a tanti ambienti, gruppi, poteri, cerchie et cetera la cosa non è andata giù. Sappiamo di quali mondi parliamo, no? E, in secundis, perché è calata storta – incredibile, eh si, lo so – neppure alla sinistra politica e sindacale. È azzittita. Non “ammettono”, al massimo stanno muti. Non ce la fanno a riconoscere il merito alla premier; si capisce: questa destra sociale, “lab”, bismarckiana – chiamatela come diavolo volete – invade il campo di chi dovrebbe – e non lo fa – difendere i quisque de populo, il “pio bove” che tira il carro quotidiano, che, invece, viene frastornato da giornalissimi e top media, con in testa i “progressisti” della agnelliana Gedi Corporation; manco una testata con gloriosi lasciti “companêros”
come il Manifesto ce la fa. Solo Sansonetti, sulla tolda della nuova Unità, supera il test con la propria coscienza: stavolta Meloni ha ragione perché le banche “hanno guadagnato senza muovere un dito”. Già il popolo. Nell’economia domestica di casa propria capisce una sola cosa: il costo dei mutui sale e c’è un governo che difende i cittadini economicamente inermi.
Le contraddizioni di Lagarde
Ma che lettera manda la Lagarde alla Meloni se lei stessa, interrogata in commissione, all’Europarlamento – non dite che è istituzione inutile: serve, serve, eccome – è obbligata a “cazziare” di brutto le banche? Ascoltatela: “La Bce vorrebbe che le banche trasmettessero appieno la politica monetaria. Non solo per quanto riguarda il credito che erogano alle famiglie e alle aziende, ma anche sui depositi che ricevono da famiglie e aziende. Tutti i depositi”. E invece non è così ed è costretta, dinanzi all’unica istituzione Ue eletta dal popolo, a dire che non lo fanno: “Le banche dovrebbero applicare questi tassi su entrambi i fronti dell’attività, ma secondo i dati questo non avviene in maniera sufficiente sui depositi”. Così parlava il 5 giugno scorso, poco più di tre mesi fa; duramente: allora, c’è o ci fa? Che scrivi a fare all’Italia che preleva dagli istituti che non “obbediscono” alla Bce rifiutandosi di rialzare gli interessi da pagare per conti correnti e conti di deposito? I dati sono noti: i tassi su mutui e prestiti personali sono sopra il 4%, mentre ai risparmiatori vengono corrisposte percentuali inferiori all’1%. Insomma, braccino corto o no, secondo convenienza.
Le banche non sono più quelle di una volta…
E vabbè il “banco” fa il suo mestiere, ma il governo – politico, “scelto” dagli elettori – deve fare il suo. E lo fa: taglia la differenza tra il costo della raccolta e il rendimento dei finanziamenti. No, non demonizzo le nostre care, carissime banche. E che mi faccio mettere all’indice dall’intellighenzia “red” e “antifa” citando Ezra Pound e la filiera culturale anti-usura della “droite”? Siete matti? La chiudo qui. Però, però, ve lo dico sottovoce: che bella quella Banca Statale di Pietroburgo dove Anna Grigor’evna, vedova Dostoevskij, in fin de siècle depositò, in segreto, dentro una cassetta di sicurezza carte preparatorie, manoscritti e disegni di Delitto e Castigo, L’idiota, I demòni, L’adolescente, I Fratelli Karamazov. Meno male: che tesoro! E che tesori quei banchieri e bancari: che servigio hanno reso all’ umanità. A noi tutti. A me che vado matto per il Sublime Conservatore Fëdor. Ora fatemelo sussurrare: le banche non sono più quelle di un tempo; è un tempo perduto: per sempre.
Post scriptum: alla già direttora, finissima “levogira”, che ora scrive in partibus infidelium: la “regina” politica una è; la corona la dà il popolo, non si eredita.