Abusata dallo zio, lo denuncia 6 anni dopo per salvare la sorella. I giudici: il tempo non cancella la violenza
L’orrore di uno stupro non ha una data di scadenza che lo legittimi. Lo ha imparato a sua spese l’uomo condannato a Perugia per violenza sessuale in primo grado qualche mese fa, al termine di un iter giudiziario partito dopo la denuncia presentata dalla nipote della compagna. Una ragazzina di cui l’imputato ha abusato 6 anni fa e che, con un coraggio e un dolore che il tempo non ha certo cancellato, ma forse amplificato, si è tenuta tutto dentro per non turbare gli equilibri della famiglia. A distanza di tempo, però, la paura che la stessa sorte potesse essere riservata alla sorellina, ha indotto la vittima a parlare. A denunciare. E a tirare fuori quel coacervo di dolore, frustrazione e terrore, custoditi in segreto così a lungo. E con la denuncia che ha inchiodato l’uomo alle sue responsabilità, è arrivata anche la sentenza di condanna in primo grado.
Perugia, abusata dallo zio, denuncia l’orrore subìto 6 anni dopo
L’orco a questo punto non si è dato per vinto e ha comunque deciso di ricorrere in appello, con una strategia difensiva affidata ai suoi legali che ha puntato tutto sulla non attendibilità delle accuse della giovane vittima. I giudici alle prese con il caso per il secondo grado di giudizio, però, hanno respinto l’impianto difensivo dell’uomo. E in una sentenza che parla chiaro, hanno confermato il giudizio precedente e messo nero su bianco che, come riporta Il Messaggero che cita stralci della sentenza «depositata lo scorso mese di luglio e comparsa nell’ultimo notiziario penale della Corte d’appello-procura generale», «l’attendibilità della persona offesa dal delitto di violenza sessuale non è compromessa dal decorso di tanti anni dal momento in cui erano iniziate le condotte illecite, al momento della denuncia dei fatti».
La vittima ha rotto il suo doloroso silenzio per paura che la sorella potesse subire la stessa sorte
Ed è solo la premessa. Perché proseguendo nella loro disamina, e andando dritto al punto su cui la difesa dell’imputato ha fatto leva – ossia che la denuncia dei fatti è arrivata soltanto sei anni dopo l’inizio delle violenze – i magistrati della Corte d’Appello hanno rispedito al mittente recriminazioni ed escatomage difensivi, asserendo che «il decorso di tale termine non fosse indicativo dell’insussistenza delle condotte contestate, asseritamente frutto dell’immaginazione della persona offesa. Quanto piuttosto della volontà della ragazza di non sconvolgere gli equilibri familiari. Desiderio che era stato poi superato dal timore che l’imputato potesse commettere le stesse condotte nei confronti della sorella minore della vittima. E che l’aveva indotta alla divulgazione dei fatti».
Lo zio orco condannato in primo grado e dalla Corte d’Appello
Pertanto, ancora una volta, la denuncia della vittima è stata giudicata credibile e l’orco condannato anche in appello. E la dolorosa verità che la giovane ha custodito con sofferenza nel silenzio, è venuta alla luce in tutto i suo orrore, accreditata da ben due sentenze.