Cosenza, finanzieri infedeli spiavano i dati Inps per venderli a una società privata. Quattro arresti
Avevano effettuato una quantità incredibile (oltre 160 mila) di accessi al database Inps al punto che il Garante della privacy e il ministero degli interni si erano allarmati. E avevano ragione, perché i tre finanzieri del nucleo operativo di Cosenza , arrestati oggi, fornivano le informazioni a un avvocato ( anch’egli in custodia cautelare) per fare aumentare i ricavi della sua azienda. E’ una brutta storia accaduta a Cosenza. I quattro arrestati sono accusati di accesso abusivo a sistema informatico e corruzione. Il provvedimento è stato emesso dal Gip di Catanzaro. Le indagini, coordinate dalla Procura di Catanzaro e svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Cosenza, sono scaturite dalle segnalazioni inviate dal Garante della Privacy e dal Ministero degli Interni in relazione all’ingente mole di accessi realizzati dai tre militari alla banca dati Inps in uso al corpo. In seguito ai minuziosi approfondimenti svolti da altra articolazione del medesimo reparto della Guardia di Finanza, è stato possibile appurare che i numerosi accessi censiti erano del tutto estranei a ragioni di servizio. Grazie alle informazioni illecitamente ricevute, l’azienda ha potuto quintuplicare il proprio fatturato nel corso degli anni in cui sono stati accertati gli accessi abusivi. I tre Finanzieri raggiunti dalle misure cautelari sono stati immediatamente sospesi dal servizio.
Il trattamento dei dati personali, l’accesso abusivo e le pene fino a 5 anni
Il dlgs 196/2003 dopo la clausola di riserva (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) prevede che chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento di categorie particolari di dati personali (ex articolo 9, GDPR) e di dati giudiziari (ex articolo 10 GDPR) in violazione degli articoli 2-sexies e 2-octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2-septies, arrechi nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da uno a tre anni. L’articolo 615 ter del codice penale prevede invece che ” Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni”. Le pena è aumentata fino a cinque anni se il reato, come in questo caso, è commesso da un pubblico ufficiale.