Alluvione, c’è una convitata di pietra: è Elly Schlein, tanto ingombrante quanto invisibile

26 Mag 2023 10:31 - di Carmelo Briguglio
Schlein

L’alluvione in Emilia-Romagna ha sconvolto le comunità colpite portandosi via esistenze, case, luoghi di lavoro, strade, tante strutture della vita collettiva. Un disastro atteso, ma inaspettato nella sua eccezionale intensità che lascia un triste consólo: poteva finire peggio nella perdita di vite umane. Sono 15 ma potevano essere di più. Il lutto nazionale proclamato dal governo ora chiude la fase del soccorso immediato. Apre quella della compiuta stima dei danni e del ricostruire. L’esecutivo è stato subito in campo ed è sul pezzo, come oggi si dice, con tutte le articolazioni e competenze dello Stato: tutte pronte anche se troppe; ma questo é problema avvistato, con soluzioni pensate.

Il governo c’è e ci sarà

Nessuno lo nega: il governo c’è stato, c’è; ci sarà con interventi varati con tempestività e stanziamenti importanti: due miliardi già programmati, non sono somma da poco, specie se reperita in pochissimo tempo. La presenza fisica continua si è vista col ministro per la Protezione civile Musumeci, operativo sin dal manifestarsi dell’alluvione che è stata micidiale perché ha ripetuto se stessa in pochi giorni. Il Parlamento è stato tenuto informato. Nessun varco è stato lasciato a rilievi di alcun genere. E trovo incredibile che qualche commentatore si sia ridotto a criticare il rientro anticipato della premier dal G7, non da una scampagnata di amici; e dal Giappone, mica da Ostia o dai Castelli romani. «Dopo tre giorni di incomprensibile attesa», scrive addirittura uno. E ciò dà la misura della mancanza di equilibrio e di professionalità che c’è in giro nel valutare l’azione di governo. Per fortuna, in questa circostanza, si tratta di casi isolati; di irragionevoli irriducibili.

Schlein convitata di pietra: non c’è stata e non c’è

Il secondo dato; vogliamo dirla tutta? C’è una convitata di pietra nello svolgimento dei giorni drammatici dell’alluvione; una figura che se n’è stata defilata, insolitamente silente; quasi nascosta: Elly Schlein. Perché? Perché è stata per due anni e mezzo assessore regionale al Patto per il clima, giusto giusto? C’è un non detto? È in imbarazzo ? Teme addebiti ad personam, proprio in ragione della sua diretta conduzione del ramo di amministrazione? E ancora: non condivide lo spirito di leale collaborazione con cui governo centrale e Regione stanno affrontando le conseguenze del disastro? Non le piace l’asse istituzionale, ma – diciamolo chiaro – anche confidenziale Meloni-Bonaccini? L’atmosfera inedita, di coesione nazionale, ancorché giustificata dagli accadimenti, le sembra in contraddizione con la sua opposizione integrista al governo e con quella sua “personale” alla premier? La infastidisce questo Bonaccini che sembra di casa a Palazzo Chigi? Domande naturali. È la politica. Di “là” c’è disagio. E noto anche “di qua”, una sorta di pudore a sottolinearlo. Ma il problema c’è. E io al posto di Elly sentirei il dovere di dire ciò che ha fatto e ciò che non ha fatto; o anche non ha potuto fare e perché, come vice di Bonaccini con quella delega che oggi pesa e brucia:”coordinamento interassessorile delle politiche di prevenzione e adattamento ai cambiamenti climatici e per la transizione ecologica”. A me sembra un dovere di trasparenza. Ineludibile per un leader politico. Perché un “caso Schlein” c’è, anche se i media di area progressista lo tengono coperto.

Se al posto di Elly ci fosse stata Giorgia

A parti inverse – l’eterno problema della destra, della sua cultura e del suo stile, del suo intimo codice cavalleresco che spesso la “fregano” – pensate che tali domande, magari declinate nello sperimentato decalogo ficcante su “Repubblica”, sarebbero state risparmiate a Giorgia Meloni? Credete che le “Sorelle Agnelle” dell’informazione progressista, con in testa Giannini e Molinari, avrebbero sorvolato, in nome del comune spirito pubblico? Pensate che i “debenedettini” del “Domani” non avrebbero allestito in fretta e furia una bella inchiesta giornalistica? E i talk de “La 7” non si sarebbero fiondati sulla ghiotta occasione, passando sopra a tutto? Azzardo, eh: credete che nel circuito mediatico non si sarebbe inserito pure qualche magistrato in cerca di ribalta? Che dite voi?

Pressioni indebite pro Bonaccini

Terza annotazione. Un conto é la condivisione degli interventi e un’intesa sulla risorse, tra Stato e Regione. Un altro sono i doveri del gabinetto nell’esercizio dei suoi poteri e nell’adempiere le sue responsabilità. È il Consiglio dei ministri, il presidente del Consiglio prima di tutti, a dovere scegliere il profilo del plenipotenziario a gestire la ricostruzione post-alluvione. Tutto questo dire, alludere, volere “imporre” – mi ha fatto particolare senso, il democristiano dire e non dire pro Bonaccini del senatore Casini a Porta a Porta – la scelta del presidente della Regione Emilia-Romagna quale commissario, va oltre la giusta cooperazione. Io non so come si determinerà il governo. Allo stato sono al vaglio tutte le ipotesi. Ma trovo rozzo e sgradevole che, dalla “rive gauche” si introduca adesso questo argomento; e si facciano pressioni esplicite perché Bonaccini sia nominato commissario per la ricostruzione. Lo stesso vale per il cosiddetto “partito dei governatori”. L’intromissione non ci sta. Per niente. Leggo di argomentazioni pro; ma ce ne sono altrettante, più forti, contro. Inutile dettagliarle.

La premier: problema è trovare i soldi, non chi li spende.

Ha fatto bene la Meloni, al punto stampa insieme alla presidente Ursula von der Layen, dopo avere sorvolato con lei le zone alluvionate, a derubricare la questione:«Sul tema del commissario sono colpita che sia questo il tema che vi sta a cuore – ha detto piccata ai giornalisti – mentre ci sono ancora i funerali delle persone. Il mio principale problema è non chi spende i soldi, ma trovarli». In realtà, il governo è impegnato a definire un modello unico di ricostruzione, al posto delle “governance” frammentate, tante quante gli eventi che si sono succeduti. Per questo l’esecutivo va lasciato libero di decidere, senza condizionamenti di alcun tipo. Considerazione alla quale va aggiunto l’ovvio constatare che comunque il commissario dovrà operare, d’intesa col governatore o con i governatori, come nel caso di Guido Castelli, delegato per la ricostruzione del sisma 2016 nell’Italia centrale, che sta operando molto bene.

Il precedente del commissario Legnini

Andando al merito, una domanda la pongo io: ma se Bonaccini avesse cumulato con la presidenza dell’Emilia-Romagna la leadership del Partito democratico, al posto della Schlein, a qualcuno sarebbe venuta questa idea del commissario-governatore-segretario dem? Non credo proprio: non si sarebbe pensato a questo pasticcio istituzionale. Per dire che la decisione “naturale” non esiste. Ci si può determinare in un senso o nell’altro. E se dovessimo seguire un precedente sarebbe di grande imbarazzo per la sinistra. Riguarda la nomina del commissario straordinario di governo alla ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del Centro Italia del 2016-2017. Il 14 febbraio del 2020 il governo Conte nomina commissario Giovanni Legnini (Pd) candidato governatore sconfitto alle elezioni regionali in Abruzzo e consigliere di opposizione; cioè il governo giallo-rosso non fa la cosiddetta “scelta naturale” del presidente della Regione, Marco Marsilio (Fdi), ma addirittura nomina il competitore perdente del governatore. C’è bisogno di commentare? Lasciamo perdere.

Figure alternative a disposizione della Nazione

Concludo con una riflessione di cultura politica. La sinistra deve farsi una cultura dell’opposizione e dell’alternanza. Sbaglia, in tempi di governo del centrodestra, a maggior ragione con un primo ministro di destra, a cercare forzature per fruire di postazioni di potere, in distonia col quadro politico espresso dal Corpo elettorale: il continuismo la danneggia. Innanzitutto perché il polo progressista deve “abituarsi” a una cultura di opposizione, lunga e distesa nello spazio e nel tempo politico; così si potrà preparare al bipolarismo di governo la cui legittimità deve passare per il voto degli elettori. E poi perché la destra, che oggi guida l’Italia, deve consolidare una legittimità e cultura di governo, anche “allevando” una propria classe dirigente per l’oggi e per gli anni che verranno. Ma non nel suo (solo) interesse: nell’interesse primario della Nazione che deve avere a disposizione, nei diversi cicli politici, risorse umane competenti, che si danno il cambio; figure formate, dall’esercizio, a turno, ai ruoli di alta responsabilità. Non escluso quello di commissario del governo in occasione di disastri nazionali. Quindi “suum cuique tribuere”: cosa c’è di più giusto e rispettoso del popolo sovrano?

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