La famiglia del giornalista Dong Yuyu: arrestato da Pechino con l’accusa di spionaggio
La famiglia di Dong Yuyu, il giornalista cinese, arrestato dalle autorità di Pechino a febbraio e con un passato tra i giovani delle proteste di Tienanmen e poi nello staff dell’Università di Harvard, rompe il silenzio dopo aver atteso, invano, che la situazione del proprio congiunto si risolvesse. E svela che le accuse formulate contro il 61enne Dong Yuyu, noto per le sue osservazioni acute sulla società cinese e considerato un “pensatore liberale”, amico di diplomatici e giornalisti stranieri, sono quelle di spionaggio.
Dong Yuyu venne arrestato il 21 febbraio dello scorso anno durante un incontro al Novotel Xin Qiao di Pechino con un diplomatico giapponese che era stato fermato e trattenuto per ore prima di essere rilasciato.
La famiglia aveva sinora tenuto il silenzio sull’arresto di Dong, sperando le accuse potessero essere contenute o ritirate, ma così non è stato.
È quasi certo, sostiene il Washington Post, che Dong verrà riconosciuto colpevole di un’accusa che prevede oltre dieci anni di carcere.
All’epoca dell’arresto Dong Yuyu lavorava per il giornale Guangming, uno dei principali quotidiani cinesi affiliati al Partito comunista cinese.
Intanto più di 60 giornalisti e accademici – anche il vice consigliere per la Sicurezza nazionale dell’Amministrazione Trump, Matthew Pottinger – hanno firmato una petizione per chiedere il rilascio di Dong Yuyu.
Le accuse mosse nei suoi confronti farebbero riferimento ai suoi contatti con gli stranieri.
La famiglia di Dong sperava – come si legge in un comunicato – che “gli inquirenti comprendessero che i legami” del giornalista “con l’estero non erano sospetti, ma parte normale del suo lavoro”.
Il caso di Dong è solo l’ultimo di una serie. Cheng Lei, giornalista australiana della Cgtn cinese, è detenuta dal 2020 con accuse relative alla sicurezza nazionale.
L’anno scorso Haze Fan, giornalista di Bloomberg News, è stata rilasciata su cauzione dopo più di un anno di detenzione.
“C’è una presa sempre più serrata sui media cinesi”, ha commentato Angeli Datt, di Pen America.
I legami con gli stranieri sono delicati sotto Xi Jinping, il leader cinese ormai al terzo mandato.
Questo ricorda il maccartismo mai morto in ogni Stato democratico o totalitario. Il dissidente deve essere messo a tacere e tacciato di traditore come chi in Italia ha votato Meloni.