Toh, “Repubblica” sdogana il merito. Ma non era una parolaccia “scongelata” dalla destra?
La Repubblica che non ti aspetti: il quotidiano, s’intende. Seppur nella sua accezione di inserto del lunedì (Affari&Finanza), che oggi ospita una lunga analisi di Sergio Cottarelli dal titolo ultra-sorprendente, considerata la tribuna. Eccolo: «Se non si premia il merito la macchina dello Stato continuerà a non funzionare». Sogno o son desto? Ma non era – “merito” – una neo-parolaccia grondante classismo, disuguaglianza, discriminazione? Sicuro: apposta il governo «più a destra della storia repubblicana» l’aveva scongelata e riportata a miglior vita, conferendole addirittura dignità di governo. Già, ricordate le polemiche sul ministero ribattezzato “dell’Istruzione e del Merito” proprio da Giorgia Meloni? Certo che sì.
Nell’inserto Affari&Finanza un articolo di Cottarelli sul merito
E allora ricorderete anche che nella prima fila della stampa mainstream c’era proprio Repubblica. Una sua edizione online arrivò addirittura a titolare sul ministro Valditara che «dribbla le accuse sul merito». Proprio così: accuse. Non sorprenda perciò la sorpresa suscitata dal sorprendente titolo sull’articolessa di Cottarelli. Per non dire dello scioccante sommarietto piazzato sulla firma dell’autore: «O si capisce che la parola merito non è una bestemmia, che premiare il merito non penalizza il gioco di squadra, oppure qualsiasi cambiamento sarà poco incisivo». Goduria. Il testo, ovviamente, è di Cottarelli. Ma è un fatto che a sbandierarlo sia un giornale-partito come Repubblica, che contro il merito riferito alla scuola non aveva fatto mancare il suo contributo di fuoco e fiamme.
Il quotidiano fu in prima fila contro Valditara
E ora invece eccolo qui ad avallarne l’avvento nella «macchina dello Stato». Come se il merito fosse una prassi da poter introdurre a piacimento e non l’esito di una sedimentazione basata su un lungo percorso educativo, i cui rudimenti devono essere ben visibili e percepibili sin dalla scuola dell’infanzia. E questo perché il primato del merito non si dichiara per decreto, ma si acquisisce giorno per giorno sapendo che esso si sostanzia di selezione, di incentivi premianti e, all’occorrenza, di meccanismi penalizzanti. Invocare perciò la meritocrazia nel lavoro degli uomini senza che ve ne sia traccia nello studio dei bambini è solo fiato sprecato. C’è solo da sperare che, di tanto, Cottarelli sia riuscito a convincere anche Repubblica.