Omicidio Fragalà, la Cassazione conferma le condanne per i killer. Fu ucciso per il suo impegno antimafia

7 Mar 2023 15:53 - di Paolo Lami

I giudici della Prima sezione penale della Cassazione , rigettando i ricorsi di tre dei quattro imputati, hanno confermato le condanne per gli assassini dell’avvocato Enzo Fragalà, parlamentare di Alleanza Nazionale e docente universitario, colpito a morte sotto il suo studio legale a Palermo, di fronte al Tribunale, da un commando di Cosa Nostra il 23 febbraio 2010 e morto tre giorni dopo in ospedale per i colpi ricevuti, il sostituto procuratore generale della Suprema Corte,  Giuseppina Casella ha voluto, innanzitutto, rendere omaggio all’avvocato palermitano.

Oggi è il giorno della conferma. Dopo 13 anni la Cassazione ha stabilito in via definitiva la verità, o almeno una parte di essa, sulla morte di mio padre – dice l’avvocato Marzia Fragalà, figlia di Enzo, presente oggi in udienza a piazza Cavour. – Ha confermato che mio padre è stato ucciso per volontà e mano mafiosa perché era scomodo il suo modo di lavorare, il suo essere dalla parte della Giustizia. Per noi familiari questo è l’ elemento più importante di tutti. Non possiamo dimenticare, infatti, che all’inizio di questa vicenda giudiziaria c’è stato un brutto tentativo di depistaggio e sono state attribuite a mio padre delle condotte e delle responsabilità che lui non aveva”.

“È stato difficile e faticoso sopportare tutto ciò che è avvenuto – ammette amaramente la figlia dell’avvocato palermitano e parlamentare di An assassinato da Cosa Nostra. – ma oggi uscendo dalla Corte di Cassazione, dove ho assistito all’udienza, ho soltanto pensato a mio padre ed al suo coinvolgente sorriso ed ho sorriso anche io”.

Stamattina aveva parlato il sostituto procuratore generale Giuseppina Casella chiedendo la conferma delle condanne.

Rendo omaggio in questo luogo all’avvocato Fragalà, vittima di un’aggressione brutale in quanto avvocato, ammazzato perché avvocato”, aveva detto Casella ricordandone l’impegno antimafia al punto di essere definito “sbirro” da Cosa Nostra. Perché convinceva i suoi assistiti a passare dalla parte della Giustizia.

Nella sua requisitoria il Pg Casella aveva chiesto di rigettare i ricorsi presentati dalle difese degli imputati Antonino Abbate, Francesco Arcuri e Salvatore Ingrassia (un quarto, Antonino Siragusa, pentito, condannato in appello a quattordici anni non ha presentato ricorso) condannati in primo e secondo grado.

“La principale critica mossa in questa sede dai tre imputati riguarda le dichiarazioni rese da Antonino Siragusa, condannato ormai in via definitiva: un fil rouge – aveva detto Casella in aula – che collega i tre ricorsi. I giudici di merito su questo punto hanno escluso qualsiasi inquinamento delle dichiarazioni, nè intenti calunniatori. Il contesto mafioso in cui  è maturato questo delitto è lo stesso degli imputati e proprio lì è maturato il movente: occorreva impartire una lezione a Fragalà, che, secondo la loro visione, non faceva l’avvocato ma lo ‘sbirro’”.

Esattamente un anno fa, il 28 marzo 2022, la Corte d’Assise d’Appello di Palermo aveva confermato la sentenza di primo grado con la condanna a 30 anni per Antonino Abbate, ritenuto l’esecutore materiale del violento pestaggio a colpi di bastone in via Nicolò Turrisi, a 24 anni a Francesco Arcuri, boss del Borgo Vecchio e ritenuto il mandante, e a 22 anni a Salvatore Ingrassia, che fece parte del commando con funzioni logistiche.

Nel processo di secondo grado erano stati assolti, invece, Paolo Cocco e Francesco Castronovo.

Di loro aveva parlato il primo pentito, Francesco Chiarello, poi non creduto dai giudici che hanno, invece, successivamente, dato credito ad un altro collaboratore.

È pacifico, tanto per i giudici quanto per la Procura, che Cosa Nostra decise di uccidere Enzo Fragalà per punirlo del suo impegno contro la mafia, sempre orientato alla Giustizia.

Lo confermò lo stesso Antonino Siragusa. E i giudici di secondo grado lo scrissero a chiare lettere: “Il movente del delitto per il quale si procede” ricollega “l’aggressione ai danni del professionista ucciso ad una sorta di punizione che Cosa Nostra voleva infliggere a un avvocato ormai additato come ‘sbirro’”.

L’inchiesta sull’omicidio di Enzo Fragalà vide, nel luglio 2013, l’arresto di Francesco Arcuri e Salvatore Ingrassia, già detenuti per mafia ed estorsione e ritenuti affiliati al mandamento di Porta Nuova e di Antonino Siragusa. Ma, poi, arriva l’archiviazione.

Il 15 marzo 2017 per il delitto vengono arrestate sei persone: Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia, Antonino Siragusa, Paolo Cocco, Francesco Castronovo e Antonino Abbate sulla base delle dichiarazioni del pentito Francesco Chiarello.

Che raccontò di aver saputo dell’agguato contro Enzo Fragalà proprio da Francesco Castronovo: quella sera si sarebbe presentato a casa sua, confermando la partecipazione al delitto, con gli abiti sporchi di sangue. Una versione confermata poi anche dalla moglie di Chiarello, Rosalia Luisi.

Il 16 gennaio 2020, confermando la matrice mafiosa, i pm di Palermo chiedono l’ergastolo per Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia, Antonino Siragusa – che si dichiara pentito – Paolo Cocco, Francesco Castronovo e Antonino Abbate, quest’ultimo all’epoca capomafia di Borgo Vecchio ed esecutore materiale dell’omicidio per conto del boss Gregorio Di Giovanni indicato come il mandante.

Ma il 30 marzo la prima sezione della Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, condanna Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia, Antonino Siragusa e Antonino Abbate e scagiona Paolo Cocco e Francesco Castronovo accogliendo così, solo parzialmente, le tesi della Procura che riteneva, invece, tutti e sei gli imputati – collegati alla famiglia mafiosa di Porta Nuova – responsabili, a vario titolo, dell’efferato omicidio.

In secondo grado il 28 marzo 2022, nonostante la Procura chieda la condanna per tutti e sei, la Corte d’appello conferma l’assoluzione per Paolo Cocco e Francesco Castronovo. E condanna a 30 anni Antonino Abbate, a 24 anni Francesco Arcuri, 22 anni vengono comminati a Salvatore Ingrassia, e 14 anni ad Antonino Siragusa.

L’omicidio di Enzo Fragalà “fu una vera e propria esecuzione, un’azione studiata e scientificamente posta in essere”, aveva detto in aula, l’avvocato Enrico Sanseverino, già presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo, uno dei legali di parte civile – l’altro è Enrico Trantino – della famiglia di Enzo Fragalà, nel corso del suo intervento davanti alla Prima Sezione Penale della Cassazione. In aula, ad assistere all’udienza, c’è la figlia del penalista, Marzia, avvocato come il padre.

“Siamo qui, in quest’aula della Suprema Corte, per discutere dell’omicidio di un uomo in toga – aveva detto nel suo intervento l’altro legale di parte civile l’avvocato Enrico Trantino. – Marzia Fragalà torna in Cassazione oggi per il processo sull’omicidio di suo papà, dopo esserci stata nel 2009 proprio con suo padre”.

Nell’udienza di questa mattina la procura generale della Cassazione, al termine della requisitoria, aveva chiesto di rigettare i ricorsi presentati dalle difese degli imputati Antonino Abbate, Francesco Arcuri e Salvatore Ingrassia. Il 28 marzo di un anno fa la Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado con la condanna a 30 anni per Antonino Abbate, ritenuto l’esecutore materiale del pestaggio a colpi di bastone, a 24 anni a Francesco Arcuri, boss del Borgo Vecchio e ritenuto il mandante, e a 22 anni a Salvatore Ingrassia, che fece parte del commando con funzioni logistiche. La sentenza dei supremi giudici e’ attesa in giornata.

Oltre ai familiari del penalista, la moglie Silvana Friscia, la figlia, Marzia e il figlio Massimiliano, nel procedimento sono costituite parti civili, anche la Camera penale di Palermo, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Palermo, il Consiglio nazionale forense, il Comune di Palermo e l’associazione ‘Antonino Caponnetto’.

 

 

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