Tredici anni fa moriva Enzo Fragalà ucciso dalla mafia. Il 7 marzo la Cassazione metterà la parola fine alla vicenda giudiziaria

27 Feb 2023 18:30 - di Paolo Lami

Sono passati 13 anni da quella sera del 23 febbraio 2010 quando Enzo Fragalà, storico parlamentare del Msi e, poi, di Alleanza Nazionale, penalista di spicco e docente universitario venne colpito a morte, proprio di fronte al Tribunale di Palermo e sotto al suo studio legale, in via Nicolò Turrisi, da un gruppo  di Cosa Nostra che, a bastonate, voleva punirlo perché aveva convinto molti mafiosi a passare dalla parte della legge collaborando con la Giustizia.

Enzo Fragalà morì tre giorni dopo il ricovero in ospedale, il 26 febbraio 2010. E fra 8 giorni, il 7 marzo prossimo, la Cassazione metterà la parola fine alla vicenda giudiziaria che ha visto condannati, il 23 marzo del 2020, in primo grado, quattro mafiosi grazie alla testimonianza di un pentito. E, soprattutto, al lavoro dei carabinieri. Che incrociando i dati delle celle telefoniche della zona a cui si erano agganciati i telefonini cellulari, le immagini delle telecamere e le testimonianze di chi era sul posto quando i killer mafiosi si accanirono su Enzo Fragalà, riuscirono a ricostruire tutto il quadro, l’organizzazione dell’agguato – peraltro letto, in controluce, anche dalla squadra Catturandi della polizia che indagava sulle famiglie mafiose di Porta Nuova – dando un volto e un nome a chi vi prese parte, a chi procurò il bastone per infierire sull’avvocato, fino ai mandanti.

Due anni dopo la sentenza di primo grado, l’8 marzo 2022, i magistrati della Corte d’appello confermarono lo scenario e la decisione dei colleghi del Tribunale. Ora tocca alla Cassazione.

Tutta la vita di Enzo Fragalà è stata spesa per la legalità ma anche per il dialogo, il confronto leale, il desiderio di trovare, parlando, un punto di incontro con tutti. Era la sua cifra umana. Un modo di vivere e di dare l’esempio quotidiano che la mafia decise di non perdonargli perché riusciva a convincere gli imputati che seguiva come penalista a cambiare vita, a scegliere la legalità.

La sua non era quell’Antimafia da operetta che piace tanto a sinistra, quella dei professionisti dell’Antimafia messi alla berlina da Leonardo Sciascia che li mal sopportava stroncandoli. Era un’antimafia vissuta e praticata nel quotidiano ben sapendo che si metteva a rischio, che sfidava la mafia, sempre con il sorriso, un’ironia elegante, un’educazione d’altri tempi.

La sua non era un’antimafia urlata, fatta di slogan, di protagonismo e di presenzialismo.  Era un’antimafia viva, carnale, interpretata con passione civile giorno dopo giorno mettendosi in gioco in prima persona con il suo lavoro rischioso.

È questo che Cosa Nostra non gli ha perdonato.

Sono passati 13 anni e sembra incredibile. Un tempo lunghissimo, doloroso e difficile – dice Marzia Fragalà, anch’essa avvocato penalista e figlia di Enzo. – È stato complicato imparare a vivere senza di lui, abituarsi all’ assenza, al vuoto. Ed è stato molto pesante seguire tutta la vicenda processuale relativa al suo omicidio. Io sono stata sempre in aula, presente ad ogni udienza, ho voluto ascoltare con le mie orecchie e vedere con i miei occhi ciò che succedeva in aula, ciò che veniva dichiarato”.

“È stato un processo complesso che ha richiesto molto impegno per l’espletamento dell’ attività istruttoria – ricorda Marzia. – Tutto ciò ha però portato ad accertare una verità, ad individuare dei responsabili della terribile aggressione di cui mio padre è stato vittima e ad infliggere delle pene. Nessuno, come sapete, è stato condannato all’ergastolo perché la verità, così per come è stata ricostruita nel processo, non ha consentito che venisse inflitta la pena che io da figlia avrei auspicato venisse irrogata ai suoi assassini. Il prossimo 7 marzo verranno discussi dinnanzi La corte di Cassazione i ricorsi presentati dagli imputati. Io, come sempre, sarò presente. È il mio modo per dire a mio padre che io non mollo, che continuerò a combattere perché la verità venga accertata e venga fuori tutta, anche quella relativa ai mandanti che, come è noto, non sono ancora stati individuati. Mio padre ha dedicato la sua vita alla giustizia e merita che gli sia garantita Giustizia”.

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