Caso Amara, a Perugia i racconti sugli scontri fra toghe nell’ex-porto delle nebbie
Il caso Amara e quello Palamara con tutti i loro intrecci, i loro strascichi e le loro implicazioni sul valzer delle nomine in magistratura, sugli screzi fra toghe, sgambetti, antipatie, dispetti reciproci , amicizie e inimicizie, che, per anni, hanno caratterizzato quello che un tempo veniva chiamato con disprezzo “il porto delle nebbie” e, cioè, gli uffici giudiziari romani, torna a tenere banco a Perugia dove si sta celebrando un filone della vicenda, in particolare quello sulle rivelazioni e sui presunti dossieraggi che vede imputati l’ex-magistrato Luca Palamara e l’ex-pm di Roma Stefano Rocco Fava, ora giudice civile a Latina e, dall’altra parte, il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, costituitosi parte civile.
Sentito in aula come testimone nel processo nato dal filone di inchiesta principale della Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone e territorialmente competente per i reati compiuti da e contro i magistrati romani, l’ex-pm di Roma e ora procuratore aggiunto a Firenze, Luca Tescaroli assicura che “il procuratore Pignatone non è mai intervenuto sulle scelte che abbiamo effettuato e una caratteristica di Ielo è quella della massima condivisione”.
La questione riguarda “un’indagine delicata che toccava anche magistrati del Consiglio di Stato”, ha ricordato Tescaroli. Ed era inerente alle dichiarazioni rilasciate dall’ex-consulente legale esterno dell’Eni, l’avvocato Piero Amara.un personaggio, arrestato, che ha riempito pagine e pagine di verbali a Milano e Roma, provocando terremoti nella magistratura, liti inimmaginabili fra colleghi e traumatiche rotture di storiche amicizie.
Le Procure, quella di Milano, così come quella di Roma, si sono spaccate a metà sulle dichiarazioni rilasciate da Amara portando alla luce fratture che giacevano sotto la cenere dei rapporti formali e istituzionali.
Il filone del processo in corso a Perugia e che vede imputati Palamara e Stefano Rocco Fava riguarda proprio questo aspetto.
Fava aveva in carico un fascicolo su Amara e, ad un certo punto, ne chiede l’arresto. Che, però, non viene controfirmato dal suo capo diretto, l’allora procuratore aggiunto Paolo Ielo – oggi parte civile in questo processo – e neanche dal capo della Procura romana, Giuseppe Pignatone.
La situazione, tesa, precipita quando Fava mette nero su bianco che vi sono rapporti di amicizia fra Amara e i fratelli di Pignatone e di Ielo, entrambi avvocati.
Non solo. L’avvocato di Amara, Salvino Mondello , ha rapporti di amicizia con Ielo. Che, infatti, correttamente, ha chiesto di astenersi. Ma Pignatone dice no.
Ce ne è abbastanza perché scoppi un putiferio. La goccia che fa traboccare il vaso è la decisione di togliere il fascicolo Amara a Stefano Rocco Fava. Che scrive al Csm.
Da lì inizia a franare tutto. E si arriva al processo di oggi.
Interpellato se fosse a conoscenza dei rapporti tra Ielo e l’avvocato Salvino Mondello, Tescaroli ha oggi spiegato in aula a Perugia che “ancora prima di scrivere la misura cautelare per Amara e altri (Ielo, ndr) mi informó che conosceva l’avvocato Mondello, che era stato un suo compagno di studi. Caratteristica di Ielo è quella della massima condivisione – ha ribadito rispondendo alle domande dell’avvocato Filippo Dinacci, legale di parte civile di Ielo. -Non ci furono imbarazzi, e nessuno ha sollevato questioni su questo profilo. Non c’è mai stato nessun condizionamento, nel modo più assoluto. Abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare, nello specifico parliamo di un’indagine delicata che toccava anche magistrati del Consiglio di Stato”.
“La Procura di Roma – ha ricordato Tescaroli nella sua testimonianza in aula a Perugia – nel passato era conosciuta come ‘il porto delle nebbie’ e l’arrivo di Giuseppe Pignatone come procuratore ha portato l’ufficio a un salto di qualità, ha svolto una funzione di stimolo. E questo è un patrimonio noto a tutti”.
Nel processo, che si è aperto il 19 gennaio di un anno fa davanti al Tribunale di Perugia, a Palamara e a Fava viene contestato di aver rivelato notizie d’ufficio “che sarebbero dovute rimanere segrete”, e in particolare “che Fava aveva predisposto una misura cautelare nei confronti di Amara per il delitto di autoriciclaggio e che anche in relazione a tale misura il procuratore della Repubblica (Pignatone, ndr) non aveva apposto il visto”.
Nel procedimento Fava, all’epoca dei fatti sostituto procuratore nella Capitale, è accusato di essersi “abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d’udienza e della sentenza di un procedimento”.
Fatto che secondo i pm avveniva “per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita”.
Il suo obiettivo, secondo l’atto di accusa “era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall’incarico di procuratore di Roma e dell’aggiunto Paolo Ielo” da effettuarsi anche con “l’ausilio” di Palamara “a cui consegnava tutto l’incartamento indebitamente acquisito”.
Secondo l’accusa Fava avrebbe acquisito atti di procedimenti penali “per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell’allora procuratore Pignatone” ed “effettuare una raccolta di informazioni volta a screditare Ielo, anche attraverso l’apertura di un procedimento penale a Perugia” e quindi “a cagionare agli stessi un danno ingiusto”.