Addio a Franco Cremonini, indimenticabile protagonista del Bagaglino e del Giardino dei Supplizi
Con la scomparsa di Franco Cremonini, avvenuta sabato e di cui stamattina si sono celebrati i funerali presso la chiesa Regina Pacis a Monteverde, si chiude un’altra pagina della storia del Bagaglino e più in generale del cabaret romano di cui è stato uno dei protagonisti minori tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta a fianco di Oreste Lionello, Pino Caruso e tanti altri. Cresciuto nel quartiere di Montesacro frequentando con Giulio Del Bon, Luciano Filetti, Adalberto Baldoni, Erio Carapellese e altri la sezione del Msi di cui era segretario Bruno Tomasich. Per chi nell’ambiente aveva passione e talento artistico l’approdo al Bagaglino (fondato nel 1965 da sei giornalisti di destra: Pierfrancesco Pingitore, Piero Palumbo e Gianfranco Finaldi de “Lo Specchio”, Raffaello Della Bona del “Secolo d’Italia”, Luciano Cirri de “Il Borghese” e Mario Castellacci, redattore Rai) era quasi naturale e così è stato anche per Franco Cremonini, attore, cantante e chitarrista.
Ci lascia Franco Cremonini, protagonista degli anni d’oro del Bagaglino
«Il nostro cabaret -ha ricordato nel libro “Destra senza veli” del suo amico Baldoni- era mirato esclusivamente a divertire il pubblico, senza inclinazioni o suggestioni ideologiche. Spesso la gente che affollava ogni sera il Bagaglino, non cogliendo al volo qualche battuta, vi tornava per riuscire a comprenderne esattamente il significato. Era gente che, avendo frequentato il varietà, non era abituata al ritmo veloce dei dialoghi intessuti di ironia e doppi sensi. Ricordo lo strepitoso successo della commedia “La grande borghetaria”, due tempi di Castellacci e Pingitore, in cui feci il mio esordio (1966), dove si commentava la fine del boom economico, si irrideva all’Italia che era rimasta mezzo proletaria e mezzo borghese. La nostra era un’ironia sottile ma pungente che fotografava però la situazione sociale in cui versava il Paese, in quel momento alquanto critica dopo l’illusione del miracolo economico, del rilancio del Mezzogiorno, della fine della disoccupazione giovanile. Ad ogni modo ce n’era per tutti. Centro, destra e sinistra non venivano risparmiati… Si rideva sui notabili della Dc e sui gerarchi del Pci, sui consumi sfrenati degli italiani e sui preti del dialogo. Ed anche Michelini (allora segretario del Msi e direttore del “Secolo d’Italia”) non sfuggiva alle salaci, pungenti battute».
L’approdo al Giardino dei Supplizi di Luciano Cirri
Non solo Bagaglino per Cremonini ma pure il Giardino dei Supplizi che Cirri ha fondato nel 1967 con Gianna Preda perché credeva in una satira politica più forte, lasciando il gruppo di Pingitore e gli altri. Per il nuovo cabaret e usando come nome il titolo della rubrica di arte e cultura che teneva su “Il Borghese” di Mario Tedeschi. «Luciano -ha raccontato Cremonini a Baldoni- era un fondamentalista, nel senso più positivo del termine. Concepiva il cabaret come un ritrovo politico-letterario mentre Pingitore e gli altri davano più spazio allo spettacolo tipo café-chantant, ossia alla vecchia maniera. Poi gli piaceva rischiare. Basti pensare alle diverse tournee estive del “Giardino”. Si partiva al buio, senza sapere se, in determinati luoghi lo spettacolo sarebbe stato apprezzato dal pubblico. Molto pubblico significava incassare e non rimetterci». Un’esperienza durata fino al 1974 quando i proprietari del locale non rinnovarono l’affitto.
Dal cabaret al teatro, interprete di popolari commedie musicali
Al tempo della Destra Nazionale, Cremonini ha interpretato il suo inno “L’ultima frontiera”, con testo di Gianna Preda e musica di Pino Roccon. Un 45 giri molto diffuso, che ha fatto da colonna sonora soprattutto alla campagna elettorale del 1972 che vide il Msi raggiungere i suoi migliori risultati, stampato e distribuito anche da vari candidati come materiale di propaganda. Finita la grande stagione del cabaret che l’ha visto protagonista anche presso il Papagno e altri club, Cremonini ha lavorato in teatro (“Anche i bancari hanno un’anima” di Pietro Garinei con Gino Bramieri e poi spettacoli con Renato Rascel e Arnoldo Foà) e ha partecipato a vari film diretti da Mariano Laurenti come “Zingara” del 1969, “Ma che musica maestro” del 1971 (entrambi per sfruttare il successo delle canzoni di Iva Zanicchi e Raffaella Carrà) e “Patroclooo e il soldato Camillone” con Pippo Franco, oltre ad “Amori, letti e tradimenti” di Alfonso Brescia del 1975.
Successivamente si è poi occupato di cinema, stando dietro le quinte come segretario di produzione ha lavorato anche con Massimo Troisi ed Ettore Scola, prendendo parte anche a diverse produzioni televisive, allontanatosi dalla politica ma mantenendo le amicizie di un tempo.