Alpinismo, magia e anni di piombo nel romanzo di Taschini “Ventitré, la colpa dei lupi”

9 Feb 2023 12:20 - di Redazione

“Romanzo di una vita. E di una morte”. Così, Luca Taschini, ha scelto di sottotitolare il suo Ventitré. La colpa dei lupi  pubblicato da Passaggio al Bosco Edizioni nelle ultime settimane. Anni ’80. Jò e Gillo sono due ventenni romani. Hanno già vissuto eventi che hanno caratterizzato la loro vita in maniera definitiva. Jò e Gillo sono passati attraverso gli “anni di piombo” sperimentando personalmente un’esistenza borderline, eventi di sangue, la perdita di amici e anche qualcosa di più. Jò e Gillo però, oltre al passato, condividono anche altro: la capacità di ridere sempre, anche di sé stessi, oltre a una passione genetica e viscerale per l’alpinismo. Jò e Gillo sono due solitari che condividono la stessa strada, parlano poco e guardano sempre un po’ oltre. Questo li porta a progettare una salita al limite, in inverno, che rappresenta una sorta di riscatto per la delusione, la frustrazione e il dolore per le esperienze passate: una disputa teologica con la vita, come la definisce Jò. La necessità di ritrovare il filo della propria esistenza.

L’incontro con una maga sull’Appennino

La salita si svolge nell’Appennino, tra le montagne di casa, e dà modo di raccontare lo spirito ancora pagano, sincretico e magico, di quei territori. Attraverso episodi che caratterizzano in maniera sostanziale la storia: l’incontro con Erpinia, una sorta di maga ierofante, la Santa Nera e i confratelli. Durante la salita, si aprono finestre sul passato “politico”, sempre attraverso episodi simbolici e necessari a definire le motivazioni interiori, escludendone il “colore”. Episodi che descrivono anche con ironia la dimensione quotidiana di adolescenti o poco più, che condividono come fosse normale esami di maturità e morte. È un punto di vista narrativo insolito. Ribaltato. I fatti esteriori sono solo il contenitore dei risvolti interiori, spesso dominanti, attraverso la definizione sincera e spregiudicata di emozioni e pensieri. Si è portati a rivivere l’esperienza emotiva attraverso gli occhi, la testa e il cuore di Jò. Arrivando alla sensazione che il protagonista non sia chi racconta ma il suo compagno.

Tutti i personaggi confluiscono nel protagonista

Si entra in un mondo con toni dark parallelo agli eventi, dove la figura del “Vecchio”, conosciuta attraverso una iniziale mediazione iniziatica di Erpinia, si presenta come una voce fuori campo, un super io, che dà modo di affrontare temi come l’amore, il senso della vita, la morte, la religione e la possibilità di esistenze precedenti, che convivono con attitudini esistenziali quasi punk. I temi sono trattati con immediatezza, così come nascono nella spontaneità dell’anima. L’epilogo della salita è drammatico. Tutti i personaggi confluiscono nel protagonista, essendone in realtà un’emanazione, in una sorta di galassia pensante che ha vita propria. Nella sua sopravvivenza ai fatti Jò, non arriva a certezze per il futuro né a soluzioni definitive. Ha solo chiaro il senso di esistere nell’universo e di dover indagare su quella volontà che lo porta a non fuggire, per tornare sempre “nel buio dei vivi”. All’importanza di voler sprofondare nella coscienza di sé, che sola può fornirgli soluzioni e risposte.

 

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