Papa Ratzinger paladino dei poveri contro i disastri del materialismo marxista e nel solco di Wojtyla

5 Gen 2023 10:51 - di Riccardo Pedrizzi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

“Combattere la povertà implica un’attenta considerazione del complesso fenomeno della globalizzazione”. Per la celebrazione delle giornate mondiali della pace  Benedetto XVI soleva premettere delle indicazioni metodologiche, chiarendo spesso che la Chiesa vuole entrare nel merito delle questioni sociali e politiche del nostro tempo, usando gli strumenti dell’analisi scientifica, non astraendosi in un generico umanitarismo, non avendo paura di gettare lo sguardo nel cuore delle contraddizioni più stridenti della contemporaneità. Senza però dimenticare l’altro piano, quello dei valori trascendenti e sovratemporali, di cui la Chiesa è testimone e depositaria. Per questo avvertiva Papa Ratzinger, “Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe rivestire anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai poveri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un’unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità”.

Nei messaggi sui temi della pace e della povertà nel mondo emergevano esami complessivi della realtà ed una capacità di percepire le sue valenze molteplici. E le cause delle disuguaglianze tra popoli e nazioni vengono individuate superando i vecchi schemi ideologici del materialismo sia marxiano che liberista.   “Occorre avere della povertà – diceva infatti Benedetto XVI – una visione ampia ed articolata. Se la povertà fosse solo materiale, le scienze sociali che ci aiutano a misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo soprattutto quantitativo, sarebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo, però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali. Ad esempio, nelle società ricche e progredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverse forme di disagio nonostante il benessere economico”.

Per la prima volta, dopo anni di pauperismo unilaterale, il sottosviluppo morale veniva – ma pare essere ritornato di moda – considerato dalla Chiesa non meno grave di quello economico. E’ la dimensione spirituale e culturale a trainare il benessere collettivo, tanto che nelle società cosiddette «povere», la crescita economica è spesso frenata da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle risorse.

Insomma, ogni forma di povertà ha, alla propria radice, il mancato rispetto della trascendente dignità della persona umana: “Quando l’uomo non viene considerato nell’integralità della sua vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera «ecologia umana», allora si scatenano le dinamiche perverse della povertà”.

Com’è evidente, per esempio, nell’illusione atroce di controllare lo sviluppo demografico attraverso pratiche abortive di massa: “Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà – diceva Benedetto XVI – costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani”. Tanto più che le cose possono cambiare anche con altri metodi: nel 1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata, e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico. A dimostrazione che le risorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenza di una crescita della popolazione.

Anche per questo Benedetto XVI nei suoi messaggi ricordava spesso l’analisi del suo predecessore, Giovanni Paolo II, sulla globalizzazione: un fenomeno che “si presenta con una spiccata caratteristica di ambivalenza”  e che quindi va governata con saggezza per finalizzarla, sulla base di un «codice etico comune»  le cui norme sono iscritte nella coscienza di ogni essere umano, agli interessi della grande famiglia umana. “Una globalizzazione solidale sia tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all’interno dei singoli Paesi, anche se ricchi”.

Si tratta, evidentemente, di una impostazione che supera le visioni unilaterali che le ideologie novecentesche hanno della globalizzazione: quella liberista che vede nella deregulation anarchica e senza regole la strada per edificare un ordine sociale più giusto; e quella socialista ambientalista ed animalista che con la lotta di classe su scala planetaria vorrebbe mettere l’impero capitalista  sotto scacco.

Scenari apocalittici l’uno e l’altro, che la dottrina sociale della Chiesa rifiuta in nome del diritto naturale e dell’economia sociale di mercato, perché “nel campo del commercio internazionale e delle transazioni finanziarie, sono oggi in atto processi che permettono di integrare positivamente le economie, contribuendo al miglioramento delle condizioni generali; ma ci sono anche processi di senso opposto, che dividono e marginalizzano i popoli, creando pericolose premesse per guerre e conflitti”.

Il riferimento di Benedetto XVI era evidentemente alla crisi finanziaria del 2007, che aveva dimostrato come un certo capitalismo fosse esclusivamente guidato “da logiche puramente autoreferenziali e prive della considerazione, a lungo termine, del Bene Comune”.

D’altro canto non si può negare che le politiche marcatamente assistenzialiste siano anch’esse all’origine di molti fallimenti nell’aiuto ai Paesi poveri. Proprio per questo investire nella cultura e nella formazione delle persone e sviluppare in modo integrato lo spirito di iniziativa sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine per fare della globalizzazione una vera e propria opportunità.

 

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