Dopo 45 anni nessuna verità su Acca Larenzia, i colpevoli restano impuniti. E’ il momento di fare luce
Abbiamo chiesto ad Adalberto Baldoni che ha più volte trattato nei suoi saggi il fenomeno e gli avvenimenti del terrorismo in Italia , come mai a distanza di 45 anni, sulla strage di Acca Larenzia non è stata ancora accertata la verità dei fatti, né sono stati assicurati alla giustizia i colpevoli. Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
L’azione terroristica contro la sede di Acca Larenzia, secondo le confessioni del pentito Antonio Savasta, rese alla commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia, il 6 aprile 1982, sarebbe stata portata a termine da una squadra armata di comitato, ossia da un gruppo di autonomi. Alle domande rivoltegli dal senatore missino Michele Marchio, componente la commissione, Savasta ha escluso perentoriamente che siano state le Brigate rosse a compiere l’assalto. Savasta ha chiarito anche i motivi per cui le Br non avrebbero organizzato l’azione: «L’antifascismo, per quanto riguarda le Br, era un terreno che noi consideravamo arretrato perché l’antifascismo significava fare arretrare il movimento su una conquista politica cui si era già arrivati. Bisognava invece mettere in chiaro che il fascismo era soltanto una parte dello Stato; e che soltanto la Dc era il centro della politica statale, per cui l’attacco andava rivolto contro questo tipo di struttura politica».
Acca Larenzia, il pentito Savasta
Vale a dire che – per le Brigate rosse – le sedi e i militanti del Msi e delle sue organizzazioni parallele non costituivano più un obiettivo prioritario da colpire. Savasta, però, molto preciso nel chiarire perché era da escludere la presenza delle Br a via Acca Larenzia, non è stato in grado di suggerire a quale “comitato autonomo” fosse da attribuire la paternità dell’agguato. All’epoca dell’eccidio, Savasta era uno degli esponenti più in vista delle Brigate rosse, essendo responsabile sia della brigata Centocelle che di quella universitaria.
Il silenzio di Mario Moretti
E’ difficile ritenere che un personaggio di spicco come lui ( ha confessato che la sua brigata fornì armi e molotov agli ultrà che dettero vita agli incidenti del grande corteo studentesco svoltosi a Roma il 12 marzo 1977) che privilegiava la lotta militare a quella politica, sia stato quantomeno tenuto all’oscuro di un’iniziativa prettamente militare come quella portata a termine in una zona che, tra l’altro, ricadeva sotto l’influenza politica e la giurisdizione organizzativa dei Comitati e delle squadre armate territoriali di Torre Spaccata-Cinecittà e Centocelle. Le modalità dell’attentato, il numero dei terroristi impiegati, la capacità di fuoco, la rapidità dell’azione fanno ritenere che l’agguato ai militanti della sezione Acca Larenzia fu preparato da più persone; e, per le prevedibili ripercussioni anche all’interno dell’ambiente di sinistra, fu deciso dall’alto. Del resto è assai discutibile anche il silenzio di Mario Moretti sull’episodio, considerando che in quel periodo si trovava nella capitale.
Acca Larenzia nel mirino dei terroristi di sinistra
Colpendo Acca Larenzia, molto probabilmente gli ultracomunisti si ripromettevano di impartire una lezione agli attivissimi giovani del Fronte della Gioventù. Che, sia nel quartiere che nelle scuole, erano riusciti a propagandare le tesi e le proposte della destra: quella sociale, quella dell’incontro e del dialogo con i cittadini sui problemi più impellenti e vitali (verde, scuole, ospedali, traffico, eccetera). Anche dopo l’assassinio di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, ( ucciso, due ore dopo l’ agguato, dalle forze dell’ ordine accorse sul posto per sedare la rabbia dei giovani missini accorsi da ogni parte della città appena appresa la notizia della sparatoria), la sezione di Acca Larenzia sarà ancora nel mirino dei terroristi di sinistra.
Cosa significava colpire Acca Larenzia
Racconta Francesco Storace, un passato da militante per poi divenire dirigente missino e di An, fino a divenire governatore del Lazio e quindi ministro del governo Berlusconi: «Negli anni Settanta, Acca Larenzia costituiva un autentico baluardo contro i gruppuscoli di estrema sinistra che tentavano di conquistare Roma Sud. Colpire Acca Larenzia significava per i rossi paralizzare l’attività dei nostri militanti in quella zona. Dopo l’eccidio venni nominato segretario giovanile della sezione mentre segretari politici furono prima Giacomino Saviola e poi Tonino Moi che provenivano dal circolo di via Noto. Per qualche tempo, subito dopo la strage, sono stato l’unico ad andare ad affiggere i manifesti, sempre da solo. Nel corso della mia attività ho subito ben tre attentati. Prima mi bruciarono la macchina, poi misero una bomba davanti alla mia abitazione. Mia madre e mio fratello si salvarono dalle fiamme rifugiandosi sul balcone. Quindi nel maggio 1979 da un’auto in corsa, mi spararono sette colpi di pistola davanti alla sezione mentre stavo affiggendo manifesti. Mi salvai gettandomi a terra. Mi ritengo un sopravvissuto, un miracolato» (testimonianza di Storace a Adalberto Baldoni, in “Anni di piombo”, Sperling & Kupfer Mondadori, 2009, p. 283 ).
In precedenza, anche l’attentato contro la sezione missina del Prenestino del 29 ottobre 1975 in cui perse la vita Mario Zicchieri, fu programmato dagli ultracomunisti (ammissioni di Bruno Seghetti e Valerio Morucci) per incutere timore ai militanti della destra. I quali, nonostante le ripetute aggressioni subite, non davano segni di cedimento. Smentendo le previsioni dei Comitati autonomi, i missini non soltanto si difendevano ma reagivano duramente. I Nuclei armati per il contropotere territoriale resteranno una sigla anonima dell’estrema sinistra. La sua prima rivendicazione era stato un attentato contro la sezione Dc di Villa Gordiani a Roma del 27 novembre 1977, cui seguiranno dopo la strage di via Acca Larenzia altri attentati contro bar, concessionarie di auto Fiat e una sezione Dc nel 1979 e nel 1981. Riguardo all’inchiesta su Acca Larenzia silenzio fino al 1987.
Ad un passo della verità, due testi chiave scompaiono…
Il 9 febbraio i magistrati di Firenze, Pier Luigi Vigna e Gabriele Chelazzi rivelano che la mitraglietta Skorpion usata dalle Br per uccidere l’ex sindaco repubblicano di Firenze, Lando Conti e l’economista Ezio Tarantelli è la stessa che ha sparato il 7 gennaio 1978 contro i giovani missini (e verrà usata ancora il 16 aprile 1988 per uccidere il senatore Roberto Ruffilli). L’arma -precisano i magistrati- servì anche per esercitazioni a fuoco fatte da terroristi vicino alla Capitale, dove, sepolti in un campo, sono stati trovati centinaia di bossoli esplosi su indicazioni di una pentita, Livia Todini; implicata anche se in ruoli marginali nell’attività dell’ultima generazione delle Brigate rosse e collaboratrice di giustizia dal 1983. La Todini, solo quindicenne all’epoca del raid contro i giovani missini, ricorda alcuni particolari della sua iniziazione alla lotta armata. Dice che con un suo amico nell’autunno del 1977 era stata a casa di una certa Daniela dove un gruppo di giovani discutevano sulla fabbricazione di un timbro con la scritta «Nuclei armati per il contropotere territoriale»; e dopo l’agguato di Acca Larenzia al suo amico era stato riferito che all’azione avevano partecipato alcuni dei presenti di quella sera: Daniela, Mario e il “roscio”, un militante di Lotta continua del quartiere Alessandrino.
L’ordine di cattura per Mario Scrocca
Sulle affermazioni della Todini il 30 aprile 1987 il giudice istruttore del tribunale di Roma, Guido Catenacci spicca cinque ordini di cattura. Uno solo viene eseguito ed è quello relativo a Mario, identificato in Mario Scrocca, già di Lotta Continua (all’epoca dei fatti diciannovenne), ben conosciuto dagli attivisti missini della sezione di via Acca Larenzia. L’accusa per Scrocca, sposato e padre di un bambino di due anni, infermiere del Santo Spirito ormai lontano dalla politica, è di duplice omicidio, tentato omicidio, associazione sovversiva e partecipazione a banda armata. Interrogato dai magistrati nella stessa mattinata nega di aver partecipato all’agguato, pur ammettendo la sua militanza politica dell’epoca. Rinchiuso in cella d’isolamento il giorno dopo, 1 maggio 1987 si impicca ad un’inferriata con un rudimentale cappio fatto con un asciugamano. Pur sapendo quanto era essenziale la testimonianza del giovane, i magistrati non si erano preoccupati minimamente di fare sorvegliare dal personale carcerario la cella dell’infermiere giorno e notte.
Gli assassini di via Acca Larenzia resteranno impuniti
Prima di uccidersi scrive una lettera alla moglie Rossella: «Sono qui e ancora non riesco a farmene una ragione. Il tempo si è cristallizzato. L’unica cosa che riesco ad avere chiara nella mente sei tu e Tiziano. Non tollero che tu e nostro figlio siate trascinati in questa storia di merda. Finalmente riesco a piangere, vorrei urlare, ma questa soddisfazione non gliela voglio dare […]. Qui se va male non si tratta di fare qualche mese, qui se il giudice decide che le accuse contro di me sono vere, sto nella merda per sempre. Mi sono fumato anche l’ultima sigaretta ed ho deciso che non ho né la forza, né la volontà di aspettare che questa storia si chiarisca». Rimorsi, disperazione, paura di essere indicato come un assassino, preoccupazione per l’avvenire e per la sua famiglia…
Mai indagini rigorose e costanti
L’8 settembre 1988, dopo un blitz dei carabinieri contro le Br-Pcc si conosce l’identità della Daniela citata dalla Todini. E’ la trentaseienne Daniela Dolce che sfugge ancora una volta alla cattura, rifugiandosi in Nicaragua. Successivamente sarà prosciolta per insufficienza di prove. Gli assassini di via Acca Larenzia resteranno impuniti. Inquirenti e magistratura non hanno mai compiuto indagini rigorose e costanti per individuare gli assassini dei ragazzi di destra. Non sarebbe il momento di fare luce su questa oscura vicenda soprattutto per rispettare la memoria di tre giovani vite troncate nel fiore degli anni ?