Valditara: «La povertà si combatte con una scuola seria, non con il reddito di cittadinanza»

12 Dic 2022 11:15 - di Federica Parbuoni
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«Ho semplicemente in mente una scuola seria, che rimetta al centro l’apprendimento e l’impegno. Per farlo, è necessario ripristinare l’autorevolezza dei docenti. La parola chiave dev’essere rispetto: delle persone, degli studenti, delle cose». Giuseppe Valditara illustra la sua idea di scuola e il modo in cui vuole realizzarla in una lunga intervista col direttore di Libero Pietro Senaldi. Partendo da un dato di fatto, riconosciuto anche da un rapporto di Bankitalia: «Da metà degli anni Settanta il nostro sistema di istruzione non fa più da ascensore sociale e non consente un miglioramento delle condizioni famigliari di partenza».

Valditara e il ritorno a «una scuola seria» per superare la «degenerazione» avviata col ’68

Una situazione andata peggiorando con gli anni, tanto che nel 2022 ciò che la scuola italiana offre agli studenti si è attestato sui livelli del 2000, 22 anni fa. A monte c’è il ’68 e la sua eredità di «negazione dell’autorità, che è cosa ben diversa dell’autoritarismo», il fatto di «aver messo sullo stesso piano il messaggio di chi sta in cattedra, per insegnare, e le opinioni di chi sta sui banchi, per apprendere. Il distorto approccio culturale della liberazione da ogni limite – ha sottolineato Valditara – ha creato le premesse per la degenerazione della scuola di cui oggi cogliamo i frutti». È in questa cornice che il governo ha voluto rimettere al centro l’idea di merito che, con buona pace delle polemiche,  «è la sola cosa che consente di fare della scuola un luogo di realizzazione personale e valorizzare i talenti individuali dello studente».

Ripristinare l’idea che «chi sbaglia paga», dai bulli ai vandali

Dunque, autorevolezza, merito, rispetto anche delle cose («Ci vuole un patto di legalità per cui chi danneggia beni pubblici ne risponda, come del resto prevede la legge», ha detto Valditara, ricordando le denunce dei presidi rispetto ai danni provocati durante le occupazioni) e responsabilità. Un altro concetto messo al centro dal ministro e che trova una traduzione pratica, per esempio, nella proposta dei lavori socialmente utili per chi compie atti di bullismo. «Lo studente che perseguita un compagno, aggredisce un insegnante o devasta la propria scuola deve prendere coscienza del proprio errore. La sanzione serve a far capire al bullo che il suo ego ha dei limiti, coincidenti con il rispetto degli altri. La sospensione emargina e non promuove l’autocritica. I lavori socialmente utili sono formativi, rafforzano il patto di legalità che vuole che chi sbaglia, paghi», ha spiegato il ministro, portando come esempio di lavori «pulire ciò che si è sporcato, imbiancare le aule, prestare assistenza agli anziani, servire pasti alla mensa…». «La sanzione – ha avvertito  – va modulata secondo il comportamento deviante». Il ’68 è sempre lì sullo sfondo: «Il concetto sessantottino della scuola come liberazione da ogni vincolo, di orientamento neomarxista, teorizzata da Herbert Marcuse, ha dato un duro colpo al merito, al rispetto del docente e al livello qualitativo della scuola».

Il «livellamento della scuola» voluto dalla sinistra ha penalizzato i poveri, il merito è l’antidoto

«La sinistra ha puntato sul livellamento, abbassando il livello d’insegnamento, con la conseguenza che i più ricchi hanno potuto trovare vie alternative per educare i propri figli, mentre i figli dei più poveri si sono trovati imbrigliati in una scuola che ha perso la capacità di promuovere socialmente offrendo opportunità di realizzazione professionale a tutti», ha ricordato il ministro, sottolineando poi la scuola «è ritornata classista, io la voglio aperta e mobile». «Oggi il 58% dei ragazzi italiani va al liceo, mentre in Svizzera e Germania ben l’80% dei ragazzi fa apprendistato o frequenta scuole tecniche e professionali. Noi abbiamo svalutato la formazione tecnica, ritenendola di seconda categoria, quando invece è il pilastro del sistema produttivo. Bisogna farla diventare un canale formativo di serie A», ha chiarito Valditara, annunciando «un’importante riforma della scuola tecnico-professionale». «In Italia ci sono un milione e 200mila posti di lavoro, che non vengono occupati per mancanza di competenze tecniche. Il 46% delle aziende non trova qualifiche adeguate. Le imprese vanno coinvolte e, laddove siano necessarie qualifiche specifiche, le scuole devono poter assumere docenti tratti dalle imprese», ha chiarito.

Valditara: contro la povertà non serve il reddito di cittadinanza, ma «una scuola di cittadinanza»

E l’idea di rimandare a scuola chi percepisce il reddito di cittadinanza? «Più che rimandarlo, vorrei mandare a scuola chi non ha completato l’obbligo scolastico, e chi fra i 18 ei 29 anni non lavora, non si forma, non studia: sono 360mila  giovani. Se il reddito di cittadinanza dev’essere un’occasione di riqualificazione professionale, non può prescindere dalla scolarizzazione», ha chiarito Valditara, sottolineando come dai sindacati che si sono opposti sia arrivata la «solita posizione ideologica che scinde lavoro da apprendimento, quindi dalla capacità di svolgerlo». «Ma se si è tutti uguali e il merito non si premia, è più facile che si finisca tutti senza diritti piuttosto che tutti ben pagati e soddisfatti. Ben 140mila percettori di reddito di cittadinanza sotto i 30 anni hanno solo la licenza media, e in alcuni casi soltanto la licenza elementare, o neppure quella. Mi creda – ha detto il ministro al direttore di Libero – contro la povertà è più utile una scuola di cittadinanza piuttosto che il reddito di cittadinanza».

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