Messi meglio di Maradona? Cazzullo dice una sciocchezza e dimentica il suo contributo al riscatto del sud

19 Dic 2022 11:14 - di Mario Campanella

Riceviamo e pubblichiamo.

Ora che la sbornia del mondiale è passata, ora che di nuovo nessuno potrà scalfire la certezza assoluta di incoronare in eterno colui che è anche se Messi ha avuto la sua tanto agognata coppa, si può rispondere ad Aldo Cazzullo e alla sua esegesi su Maradona scritta venerdì scorso sul Corriere. Ci sono cose – diceva saggiamente Evola- su cui è opportuno tacere. Una disamina non rimasta isolata ma completata da una mistica comparazione tra l’etica di Messi e quella di Diego ad opera di Gabriele Romagnoli su Repubblica.

Orbene, qualche giorno fa, nel nunzio vobis della sua fede calcistica argentina, il nostro Cazzullo, , ha citato Maradona come divaricatore della questione meridionale. Egli avrebbe, pronunciando le famose parole della vigilia della semifinale della Coppa del mondo 90 a Napoli, contribuito ad alimentare le divisioni della penisola, ergendosi a Masaniello della contemporaneità. Cioè, “l’odio tra nord e sud “ sarebbe stato acuito dalle parole del grande fuoriclasse argentino. Maradona, che era dotato come tutti gli Dei di  furbizia, disse  prima della partita del San Paolo che i figli di Partenope dovevano scegliere tra “chi li aveva fatti vincere e un’Italia che aveva sempre oltraggiato Napoli”.

Voleva nemmeno tanto surrettiziamente portare il pubblico suo, che era italiano, in una sorta di corrida borbonica. Pur nella sua bravura, Cazzullo ha omesso di aggiungere le parti più interessanti di questa lieta novella e cioè che quella sera di luglio il San Paolo esplose al gol di Schillaci, che l’arbitro francese Vautrot diede dieci minuti dì recupero all’Italia con l’Argentina in 10 ai supplementari, che Maradona (ovviamente non nella sua casa) era stato prima fischiato e dileggiato per tutto il mondiale, con l’acme vergognosa della finale dell’Olimpico durante la quale il suo inno nazionale fu oggetto di una vera e propria distonia collettiva mai più ripetutasi nel gioco della pelota.

Diego quel mondiale lo giocò con una caviglia a pezzi, la schiena costretta a continue infiltrazioni di novocaina e, com’è noto, la maledetta scimmia sulle spalle. Prima di allora aveva portato un intero popolo a sovvertire decenni di sudditanza calcistica andando a vincere dappertutto, con i canti barbari che accompagnavano, dalle curve settentrionali, il triste “benvenuto in Italia “alla squadra del Napoli.

Dovrebbe spiegare Aldo Cazzullo, che pure è un giornalista attento, perché 32 anni dopo, nel cuore della Padania, resistano ancora canti e buh razzisti, invocazioni al Vesuvio, “Napoli colera”, addirittura propalatesi sino a Salerno, che per questioni longitudinali avrebbe connotazioni più “terroni” della capitale del sud. In pressoché tutta la nazione gridano settimanalmente “Noi non siamo napoletani”, aspettano una nuova Pompei con la pantomima puntuale di una multa di 10 mila euro comminata dalla FIGC.

E la gran parte di queste persone non sono, fuori dallo stadio, razziste. Tant’è che rivolgono i vomitanti buh agli avversari dì colore mentre incitano i loro beniamini con la stessa pelle. Più che razzisti sono cretini patentati nella stragrande maggioranza e questo non è affatto uno sconto di giudizio. L’equivoco che il notista di via Solferino non coglie è la distonia che sì registra fra certi settori indigeni (non tutti ovviamente) nei confronti di Napoli e la continua, eterna esaltazione dì bellezza e unicità celebrata nel resto del mondo.

Non passa mese che un grande gruppo editoriale mondiale non citi la  metropoli per la sua unicità, l’orchestra perfetta dì magnitudine e magia che non è replicabile in altre realtà, l’affluvio di genialità, generosità e innovazione continua, il profumo irripetibile che nel passaggio dal 99 al 2000 fece decidere alla CNN di collegarsi con un’unica città fuori le cinta americane scegliendo proprio Napoli.

Maradona, più ancora delle ricchezze aragonesi e francesi, dell’opera barocca più importante del mondo (Il Cristo velato), di Caravaggio, Luca Giordano, Bernini, Giordano Bruno, Eduardo, Croce e un’infinità di divinità di ogni epoca, è il totem inscindibile di questa eccezione della natura chiamata Napoli, al punto di essere omaggiato realmente come un Dio, idolatrato, pregato, pronunciato come un salmo segreto in ogni espressione verbale.

Non è solo il più grande calciatore di ogni epoca ma il Parsifal incantato che trova il santo calice e si consacra nell’immensità. Cazzullo lo  ha citato accostandolo a Batistuta e Zanetti, come si  paragonerebbe Pinturicchio a Caravaggio. Romagnoli addirittura  ha scomodato l’etica per dire che Messi, su questo punto, sarebbe già superiore al D10S del calcio. Perché non sì drogava? Troppo poco per giudicare un uomo. Perché altrimenti Caravaggio è stato soprattutto un pluriassassino, Hemingway un etilista, Manzoni un accumulatore seriale e via dicendo. Maradona, a differenza del suo improbabile epigono, non irrideva gli avversari, non sì lamentava del massacro di botte subito ad ogni partita e denunciò gli scandali  di quella Fifa( che è sempre stata, per la “pulce”,un ben pagato status symbol), molto prima che essi venissero alla luce. E non avrebbe indossato la tunica sopra la maglia albiceleste.

La sua vita è certamente stata drammatica e divisiva. La sua morte ha spento ogni polemica, pacificando anche le contrapposizioni territoriali. Certo, non fra i tanti stupidi che ancora riempiono gli stadi ma fra coloro che ragionano. Lasciamo che regni nel suo silenzio che parla ogni giorno. Fin quando esisterà il calcio, caro Cazzullo, se ci sarà un pallone, la mano di Dio continuerà a sorgere. Sopravvivendo al nostro oblio.

 

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