Lotta Continua diventa un docufilm. Ma parlano solo gli ex militanti che scelsero “la parte giusta”

7 Dic 2022 12:49 - di Gloria Sabatini

Cortei, molotov, terrorismo, rivoluzione. L’epopea di Lotta Continua diventa un docufilm visibile su Rai Play e dal 13 gennaio anche su Rai 3. Liberamente tratta dal libro I ragazzi che volevano fare la rivoluzione di Aldo Cazzullo, la serie racconta un decennio di storia italiana. E lo fa attraverso le parole di alcuni dei militanti di allora. Dal primo corteo della Fiat alle elezioni del ’76, passando per l’autunno caldo, la strage di Piazza Fontana, la morte di Pinelli. E l’omicidio del commissario Calabresi che inaugurò la drammatica stagione del terrorismo.

Lotta Continua in un docufilm apologetico

Il film sceglie di raccontare le storie, i sentimenti e i ricordi di alcuni dei rivoluzionari di quegli anni. Mai pentiti dell’acre passato, molti dei quali entrati dalla porta principale nella società borghese. Diventano politici, giornalisti, scrittori, manager. Tanto che non appare improprio parlare di lobby di Lotta Continua. Capitanata dal ‘padre nobile’ Adriano Sofri, condannato per l’omicidio Calabresi insieme a Pietrostefani. Altri hanno scelto di continuare quella “lotta” in forme violente e drammatiche.

L’epopea rivoluzionari di un movimento che sfocia nel terrorismo rosso

La scintilla scoccò a Torino, dall’incontro tra gli operai di Mirafiori e gli esponenti del movimento studentesco. Il gruppo prese il nome dal titolo dei volantini distribuiti davanti ai cancelli della fabbrica: “La lotta continua”. Il docufilm diretto da Tony Saccurri, prodotto da Verdiana Bixio per Publispei con Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Documentari e Rai Play, indugia sulle testimonianze personali dei militanti rivoluzionari dell’epoca. Quasi tutti ancora entusiasti di quella esperienza totalizzante. Non c’è traccia di autocritica, seppure postuma, di un movimento complesso. Che tanta parte ha avuto nella scia di sangue dei maledetti anni di piombo. Forte anche di un  clima di complicità e impunità attorno ai crimini del terrorismo rosso. Di cui nessuno ha mai pagato.

L’entusiasmo di Erri De Luca, la parte giusta di Lerner

Spiccano al contrario l’epica della rivoluzione, l’orgoglio dell’appartenenza, l’elogio del ribellismo. Con quel sentimento di superiorità, di “stare dalla parte giusta”, che pervade la sinistra. Nessun tifo per quella stagione, va da sé. Il regista dice di aver voluto fare un film “per i nostri figli”. Ma la missione ambiziosa non ha successo, vista la scelta di far parlare solo voci di dentro. Alle generazioni del dopo andrebbe raccontata tutta la storia. Che a tanti anni di distanza può e dovrebbe essere letta con distacco. “In quegli anni ho fatto la cosa giusta insieme alla maggioranza della mia generazione», dice Erri De Luca all’inizio della serie. Lo scrittore napoletano rivendica  una “piena lealtà nei confronti delle ragioni che ci misero insieme. E che ci hanno fatto partecipare di quel movimento rivoluzionario“.

Mughini, voce isolata in mezzo ai nostalgici

Gli otto anni del movimento guidato da Sofri nel documentario di Saccucci sono raccontati da ex militanti dalla lacrima facile. Con la sola eccezione di Giampiero Mughini che abbandonò Lotta Continua dopo aver messo a disposizione della causa la sua firma di giornalista professionista per pubblicare lo storico quotidiano. L’istrionico Mughini è l’unico testimone scomodo della stagione che si conclude con lo scioglimento del movimento al congresso di Rimini del 1976. “Per me fu l’incontro con la felicità. C’era l’idea che il mondo non sarebbe stato più lo stesso”, dice la saggista Donatella Barazzetti. “Volevamo mettere al centro del mondo l’uomo. Tra gli interpreti anche Marco Boato, Paolo Liguori, Gad Lerner, Marino Sinibaldi:  la crema di Lotta Continua.

La maggioranza di quella generazione restò alla finestra

Nessuna distanza storica su quella esperienza, che ancora fa palpitare il cuore degli anziani protagonisti. E qualche esagerazione di troppo in un lavoro comunque prezioso e da ‘vedere’.  Non è vero, per esempio, che i militanti di Lotta continua e dei gruppi extraparlamentari fossero la maggioranza di quella generazione. Anche allora molti ragazzi rimasero alla finestra. Volevano studiare, fare sport e non la rivoluzione. Ma questa è un’altra storia. Che colpisce anche le organizzazioni di destra e di estrema destra di quelli anni. Accomunati da un grande sogno, minoritario appunto, un sogno ‘rattrappito’ direbbe Giorgio Gaber. Neutralizzato da un governo e un potere che delle divisioni ideologiche e dei morti degli anni ’70 si alimentava e sopravvivere.

L’omicidio Calabresi e la lotta armata

La presunzione di essere dalla parte giusta è dura a morire. Basta ritornare all’ottantesimo compleanno di Sofri salutato da Gad Lerner come un uomo che ha sempre vissuto “alla parte giusta”. Di voce in voce,  nei quattro episodi della serie, si arriva alla scelta decisiva: la violenza come arma politica. De Luca parla di  “anni di rame”, precedenti a quelli di piombo. Ma con l’uccisione del commissario Luigi Calabresi il rame si tinge di rosso sangue. Lerner non ci sta: “Noi rifiutiamo l’idea che Lotta continua sia equiparabile a un’organizzazione terroristica”. Mughini non la pensa così: “Da Lotta Continua nacque Prima linea. La violenza politica era il pane quotidiano di quegli anni e di quella gente”.

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