Iran, carneficina in corso, già 24 i manifestanti a rischio esecuzione: 3 prossimi all’incontro col boia

10 Dic 2022 21:07 - di Lorenza Mariani
Iran

La mattanza in Iran non conosce tregua e non guarda in faccia all’età di chi si è ritrovato in piazza a manifestare contro il regime. Così, mentre Amnesty International documenta la strage di innocenti messa a segno con l’uccisione di 44 bambini durante le proteste, la Corte suprema fissa la condanna a morte per almeno altri tre manifestanti tra i 24 al momento a rischio di pena capitale. Solo due giorni fa la magistratura iraniana aveva annunciato la condanna a morte per 11 persone, in relazione alle proteste iniziate a metà settembre dopo la morte in custodia di Mahsa Amini. Oggi sono almeno 24 i giovani che rischiano la pena capitale in Iran per aver partecipato alle proteste contro il regime, che vanno incessantemente avanti da quasi tre mesi.

Iran, conto alla rovescia per l’incontro col boia: 24 manifestanti a rischio esecuzione imminente

Un reportage dell’orrore, quello che arriva, tra gli altri, dal giornale iraniano Etemad, che pubblica la lista compilata dalle autorità giudiziarie con i nomi di 24 manifestanti accusati di «condurre la guerra contro Dio». Il boia ha già eseguito l’impiccagione di uno di loro, il rapper Mohsen Shekari, giustiziato due giorni fa. Il giornale fa appello alla magistratura perché riveda le condanne a morte, evitando ulteriori esecuzioni. Eppure, in queste ore incalza la notizia sulla condanna a morte di un altro rapper iraniano, Saman Yasin, giudicato ”colpevole” di aver scritto canzoni che, secondo quanto hanno sostenuto le autorità di Teheran, «incitano alla rivolta» contro la Repubblica islamica.

Già condannato a morte il rapper Saman Yasin: “colpevole” di canzoni che incitano alla rivolta

La famiglia del cantante ha ricevuto una comunicazione formale della decisione giudiziaria, come spiega Nessuno Tocchi Caino. Sui social gli attivisti iraniani sottolineano come Yasin non sia l’unico rapper finito dietro le sbarre dopo l’inizio, a metà settembre, delle proteste di piazza scoppiate contro le autorità di Teheran per la morte di Masha Amini, morta dopo l’arresto della polizia morale con l’accusa di non indossare correttamente il velo islamico. Insieme a lui sarebbero stati arrestati anche i cantanti Toomaj Salehi e Behrad Ali Konari, attualmente nel braccio della morte. Il rapper Mohsen Shekari, invece, è già stato impiccato due giorni fa.

Iran, stessa sorte per altri due manifestanti accusati di «fare guerra a Dio»

E mentre le notizie su Saman Yasin aggiungono nuovi particolari sulla detenzione del giovane. Con l’attivista politica iraniana Masih Alinejad che ha scritto su Twitter come i carcerieri abbiano rinchiuso il cantante per tre giorni in isolamento. In una cella al freddo. E ammanettato, per potergli estorcere una confessione. Si apprende che la Corte suprema della Repubblica islamica dell’Iran ha condannato a morte un ennesimo manifestante, Mahan Sadrat Marni. Classe 1978, secondo le autorità giudiziarie iraniane, è colpevole di aver messo in pericolo la sicurezza del Paese.

Iran, gli assurdi capi d’accusa che motivano una condanna a morte…

Secondo quanto riporta il Tgcom 24, in base a quanto ha dichiarato il padre, Kazem Sadrat Marni, al quotidiano indipendente Shargh Daily: l’uomo sarebbe in attesa di essere giustiziato. Stessa sorte per Mohammad Broghani, accusato di «fare guerra a Dio» e di aver partecipato alle proteste. Proprio come Sahand Nourmohammad Zadeh, un altro manifestante che la magistratura iraniana ha condannato a morte per presunto «abbattimento delle ringhiere autostradali. E per aver dato fuoco ai bidoni della spazzatura e a pneumatici», con l’obiettivo di «interrompere la pace». Perché tanto basta, anzi è anche troppo, per morire in Iran…

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