Crac della Fiera di Roma, la Corte dei Conti manda a giudizio 6 manager dell’era Veltroni vicini al Pd

9 Dic 2022 21:14 - di Paolo Lami

Per il dissesto finanziario della Fiera di Roma la Corte dei Conti manda a giudizio 6 manager vicini al Pd e di epoca veltroniana archiviando la posizione di altri due.

A processo, tra membri e dirigenti della Investimenti Spa, un carrozzone partecipato da Regione Lazio, Comune di Roma, Provincia e Camera di Commercio di Roma, vanno tra gli altri Lorenzo Tagliavanti, attuale presidente della Camera di commercio voluto dal Pd, Cesare Pambianchi, ex-presidente della Confcommercio, Vincenzo Alfonsi, piddino doc ed ex-segretario della Confesercenti, Andrea Mondello ex-presidente Cda di Investimenti Spa.

magistrati contabili, che hanno fissato l’udienza per il prossimo 4 maggio, contestano, quale danno erariale, la cifra di 300mila euro, drasticamente ridotta rispetto a quella contestata nella fase delle indagini e che aveva valutato un danno di oltre 250 milioni di euro.

“In merito alla quantificazione definitiva del pregiudizio finanziario addebitabile, questa Procura – si legge – tenendo conto delle deduzioni pervenute, dell’introito conseguito attraverso la vendita della vecchia Fiera di Roma, delle contraddizioni delle indicazioni poste dalla politica locale con le varie consiliature, ritiene di addebitare ai responsabili del management di Investimenti Spa una quota di danno in via equitativa nella misura di 50mila euro ciascuno”.

Un super sconto per chi, seguendo le indicazioni della politica, ha fatto scelte catastrofiche pagate da tutti i romani.

A far scattare l’intervento della Corte dei Conti e le indagini della guardia di Finanza fu una segnalazione dell’ex-commissario straordinario di Roma Capitale, Paolo Tronca, in cui si spiegava che “sia Investimenti Spa sia la controllata Fiera di Roma srl, versavano in una situazione di grave difficoltà finanziaria e le difficoltà finanziarie erano la conseguenza degli evidenti limiti dei piani finanziari-industriali varati in occasione della realizzazione del nuovo polo fieristico’’.

“Il management di Investimenti Spa avrebbe dovuto nel corso del programma della realizzazione della nuova Fiera di Roma valutare con maggiore attenzione ed approfondimento i segnali di allerta-allarme riguardanti l’operazione in parola” sottolineano i magistrati contabili.

“Tutto sopra premesso e in considerazione della dettagliata relazione ispettiva della Gdf, fondata sulla denuncia del Prefetto Tronca, la Procura (della Corte dei Conti, ndr) ritiene che i convenuti possono essere chiamati a rispondere del danno per non avere tenuto un comportamento più attento e prudente per l’impiego delle risorse pubbliche che, in termini di risultato, non ha prodotto ancora oggi una soluzione definitiva ed efficiente per il nuovo Polo fieristico di Roma Capitale”.

Ma di cosa si parla? Fu un’operazione tutta a marchio Pd che portò la Camera di Commercio di Roma, attraverso Investimenti SpA, ad assumersi, su pressante richiesta della politica, un mutuo di 200 milioni di euro, per finanziare la costruzione della nuova Fiera di Roma.

Incaricata della realizzazione era la società di costruzione Lamaro dei fratelli Toti, imprenditori di riferimento del Pd.

L’idea balzana – e che, infatti, non funzionò per tutta una serie di ragioni – era quella di pagare il gigantesco mutuo, assunto con Unicredit, attraverso la valorizzazione del terreno della vecchia Fiera di Roma sul quale, tuttavia, a forza dei veti e sgambetti, prevedibili, di ambientalisti, comitati di quartiere e altre associazioni varie, si poteva, al massimo, farci pascolare le pecore o, al più, scaricarci i soliti zingari spostandoli, come una partita di scacchi, da una parte all’altra della città.

Fatto sta che i fratelli Toti avevano preteso i soldi alla velocità della luce e Investimenti SpA e  Camera di Commercio di Roma rimasero con gli interessi del mutuo da pagare.

In tutto questo si scoprì, poi, una volta che i Toti avevano preso i soldi, che la Nuova Fiera di Roma era stata costruita in parte su terreno di subsidenza, cioè portato a far affondare gli edifici, così come poi è accaduto: ad oggi quattro capannoni sono stati chiusi.

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