Saman, l’orrore e la furia in un’intercettazione del padre Shabbar: «L’ho uccisa io, per la mia dignità»

21 Nov 2022 13:02 - di Lorenza Mariani
Saman

Per esumare i resti trovati al casolare diroccato dove Saman potrebbe essere stata seppellita nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2021 ci vorranno giorni. Per trovare il luogo della presunta sepoltura, invece, ci sono voluti mesi di indagine serrata e – a quanto pare – una soffiata: sarebbe stato Danish Hasnain – lo zio della 18enne pakistana, considerato l’esecutore materiale del delitto commissionato dai genitori della ragazza – a portare gli inquirenti al casolare diroccato a poche centinaia di metri dalla abitazione di Novellara degli Abbas.

Saman, vittima del padre Shabbar che ha decretato la sua condanna a morte

E ora, come se in quel muro di silenzio opposto per mesi dagli indagati in cella, e quel riserbo pervicacemente sostenuto da chi indaga, si fosse aperta una falla, vengono – o tornano a galla – intercettazioni, confessioni involontarie, minacce e tutte le conferme di un orrore occultato nel mistero della scomparsa di Saman e mimetizzato nell’operosità silente degli investigatori. A partire da venerdì scorso, quando Danish – lo zio 34enne della giovane – ha deciso di cominciare a parlare.

Lo zio Danish e la congiura del silenzio: un patto di sangue che si è rotto venerdì…

Lui, l’uomo che materialmente avrebbe ucciso la 18enne, probabilmente strozzandola, dopo aver taciuto dal minuto del suo arresto a Parigi, il 22 settembre 2021. E aver  continuato a tenere la bocca chiusa per tutto il tempo della sua carcerazione in Italia, scattata dopo l’estradizione nello scorso gennaio. Lo zio accusato dell’omicidio di Saman insieme ai genitori di Saman (Shabbar e Nazia). E ai cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq. Dopo mesi passati a negare ogni coinvolgimento, ha cominciato a parlare.

Intercettazioni e soffiate rivelano tutto su quell’esecuzione di famiglia

Innescata la marciata, è arrivato il dietrofront: con una «soffiata» dell’indagato, forse motivata dalla scelta di «alleggerire» la sua posizione dopo l’arresto di martedì, nel Punjab, di Shabbar Abbas. Mentre l’unica ricercata rimane la moglie, Nazia, la donna che nelle immagini degli ultimi istanti di vita di Saman, si vede accompagnare la figlia verso i suoi carnefici e tornare quindi verso casa. Senza mai voltarsi indietro… Oggi poi, tornando a quei giorni di violenza e di morte, il Corriere della sera pubblica un’intercettazione del padre della 18enne pakistana del 6 giugno 2021. Sono le 15.32 del pomeriggio, e Shabbar è al telefono con il fratellastro rimasto a Novellara, Zaman Fahkar.

Shabbar intercettato al telefono grida furioso, tra minacce e insulti

Il tono è concitato. Le parole virulente. Le frasi minacciose. Forse Shabbar è ubriaco. Di sicuro si sente braccato: sa bene che in Italia è in corso un’indagine serrata sulla scomparsa della figlia. E per quanto volato in Pakistan il giorno dopo l’esecuzione, l’uomo mette alle strette i familiari pretendendo silenzio e omertà. «Parte della conversazione era notacontenuta in un «brogliaccio» dei carabinieri – spiega il quotidiano di Via Solferino – ma ora emergono nuovi particolari grazie alla puntigliosa traduzione dell’audio fatta fare dall’avvocato Riziero Angeletti che tutela l’Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia), parte civile nel processo al via a febbraio».

Omicidio Saman: «Avevamo giurato anche sul Corano», urla Shabbar nella telefonata

Nella telefonata Shabbar incalza il suo interlocutore. Esige di sapere chi stia facendo trapelare tutto agli investigatori. «Come è uscita questa cosa? Chi è stato? Sto cercando» urla tra insulti e minacce l’uomo in fuga. Poi nella conversazione irrompe l’omicidio. «Sapevate voi due — Fahkar e un’altra persona, ndr — e sapevamo noi cinque», riporta il Corriere. Ossia tutti gli incriminati: lo stesso Shabbar, la moglie Nazia, il fratellastro Danish Hasnain e i due cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq. «Avevamo giurato anche sul Corano» grida l’uomo, addirittura incredulo del fatto che la scomparsa che cela l’uccisione della figlia, sia diventata un caso su cui indagare.

«L’ho uccisa io, per la mia dignità, per il mio onore… Non m’importa di nessuno»

Non solo. Oltre che incredulo Shabbar Abbas è furibondo. Tanto che il parente gli fa notare: «Quando tu bevi cominci a sparlare!…». Ma lui non sente ragioni. E continua a spargere terrore e a profondersi in intimidazioni feroci: «Se qualcuno ancora parla… non lo lascerò stare». Poi, dopo aver appena menzionato il figlio («l’ho lasciato lì», in Italia, dice in un passaggio della telefonata), alla fine ammette. E confessa: «L’ho uccisa io, per la mia dignità, per il mio onore… Non m’importa di nessuno». E «se qualcuno non mi conosce ancora, ora sapranno tutti chi sono». Anche la giustizia nelle cui maglie è finito, anche nel Punjub.

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