Caso Soumahoro, per salvare l’onore basterebbe semplicemente dimettersi. Ma non lo farà

22 Nov 2022 13:53 - di Mario Campanella

Quando è arrivato a Montecitorio, con gli scarponi pieni di fango e il pugno chiuso, sembrava Rocky Balboa alla fine della scalata dei famosi gradini di Philadelphia. E quando il presidente Meloni gli ha dato del tu, per legittimare una colleganza parlamentare, sì è offeso al punto di ricordare che lui era anche laureato, come i poeti declamati da Montale e che meritava il lei. Sono giorni difficili per Aboubakar Soumaroho, ivoriano naturalizzato, sociologo, deputato di Sinistra italiana.

Il caso Soumahoro, lacrime e accuse

Repubblica, non proprio un giornale di destra, ha scoperto che moglie e suocera gestirebbero con poca solidarietà umanistica un centro per i migranti. Una botta di quelle forti capace anche di sradicare una quercia nascente del progressismo alternativo, destinata a essere punta di diamante della politica di contrapposizione al governo in materia di immigrazione. Non aveva fatto ancora in tempo a scendere dalla ong  stipata in Sicilia Aboubakar, che il quotidiano di Piazza Indipendenza ha disvelato una realtà terrificante. Nella cooperativa gestita da coniuge e suocera gli ospiti sarebbero stati trattati malissimo, i dipendenti non pagati e le condizioni igienico sanitarie pessime. Poco cibo, contratti irregolari, caporalato sui caporali . Luì, in lacrime, a giurare dì non avere nessuna responsabilità , che la moglie Liliane è disoccupata e che sì tratta di volgari menzogne. E già,  disoccupata al punto da mostrare sui social borse griffate il cui costo coprirebbe un anno di alimenti per ogni rifugiato. Piangeva Aboubakar mentre la suocera, a completamento della perfida nemesi che in un mese ha ribaltato questa piccola storia, se la prendeva addirittura con i sindacati, rei dì avere manipolato i lavoratori spingendoli a dichiarazioni avventate.

Soumahoro, le accuse a nemici immaginari

Piangeva accusando i nemici immaginari di volere” il negro che puliva il cortile”. Quasi come l’Italia fosse ancora quella della poesia del bambino non entrato nel girotondo e non una penisola in cui Osimhen, tanto per fare un esempio, è il viceré di Napoli. Il prode sociologo che scivola, come un famoso racconto di Karen Blixen, sulla buccia di una banana  è lo specchio di vent’anni dì strategie apparentemente umanistiche rivelatesi , per molta parte, l’altra faccia speculare di affari costruiti sulla pelle degli uomini: pelle nera, come quella di Aboubakar,  non più la polizza precostituita per poter dire dì tutto, godendo dì immunità eterna. Sì può non sapere cosa faccia la propria moglie, mentre accumula abiti e accessori di marche pregiate ?

Tutto ciò che che ignorava

Difficile in epoca attuale, in cui ogni singola bugia è smentita da  puntuali contraddizioni. Tutto l’abbecedario del made in Italy esibito sul sito della società di famiglia, mentre Liliane sospingeva costose valigie in hotel di cinque stelle. Veramente tanto per una disoccupata, destinata a essere la consorte del nuovo modello di socialismo etnico, il compagno Souhamoro. Veramente troppo di fronte al freddo patito da quei “fratelli”. Quello che esponeva a Meloni il programma per gli ultimi, che rammentava il fango degli stivali, che citava il Vangelo come bussola dì povertà, ignorava che la società Kalibu a fronte di un mare infinito di soldi dava ad ogni ragazzo africano “un pigiama,una tuta, una mutanda” e non accendeva nemmeno i riscaldamenti.

Era pronto a diventare l’anti-Meloni…

Con un solo paio di occhiali di Liliane sì sarebbe sfamato un intero villaggio libico. Tutta roba autentica ci mancherebbe, mica i tarocchi venduti per strada e per bisogno dai fratelli nordafricani. Ma lui non sapeva. Come la mano destra che ignora il bene della sinistra, lui non conosceva quello che faceva l’adorata moglie. Prassi consolidata per una sinistra che trova improvvisamente contanti nelle cucce dei cani; fa finta di non conoscere quanto costava una mascherina, mette il tappo sul modus operandi del sistema accoglienza: un brodo diventato business che, da Riace a Souhamoro, mostra impietosamente il suo fallimento. Sarebbe stato il centravanti della stagione invernale del centrosinistra massimalista Aboubakar; pronto a diventare l’anti Meloni dì frontiera che incarnava la sfida ai”barbari” dell’intransigenza; con quotidiani spot melodrammatici e l’invocazione al liberi tutti, se i segreti della cooperativa Kalibu fossero rimasti nello scrigno. Del resto, la giurisprudenza semantica dell’assistenza ai migranti ha nella massima di Buzzi (“ Tu sai quanto ci guadagno con gli immigrati? Hai idea? Il traffico di droga rende meno”) la citazione più illuminante.

Basterebbe poco per salvare la faccia: dimettersi

E non basta essere neri (come se la cosa potesse fare specie) per autoassolversi e legittimarsi a improbabile difensore civico di una bella fetta di persone tradita proprio da chi avrebbe dovuto difenderla. Immaginate per un attimo se al posto del deputato di Sinistra italiana ci fosse stato un parlamentare della Lega o di Fratelli d’Italia: la vulgata sarebbe finita sulla stampa Internazionale, costruendo il neo arianesimo italico. Non servirebbe alcun metodo nipponico per riacquistare l’onore di Aboubakar. Basterebbe semplicemente dimettersi. Ma non lo farà . La nuova Pompea, incartata da Gucci, non glielo perdonerebbe mai.

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