La “guerra delle parole”: la stampa mainstream passa ai “raggi X” il lessico di Giorgia Meloni

10 Ott 2022 12:16 - di Valerio Falerni
Meloni

Dimmi come parli e ti dirò chi sei“. Strano, ma vero: la stampa mainstream ha messo sotto la lente d’ingrandimento il lessico di Giorgia Meloni e, ovviamente, della destra italiana. Lilly Gruber, ad esempio, ha trovato da ridire sul fatto che la leader di FdI usi definire l’Italia più «nazione» che «Paese» traendone probabilmente auspici infausti per la nostra democrazia. Anche  l’appello all’«Europa dei patrioti» – basta scorrere la Stampa oggi in edicola – ha fatto alzare il sopracciò a molti tra giornalisti, conduttori e intellettuali. Già, come si permette la Meloni? Per lor signori accostare l’Europa ai patrioti è un ossimoro. Non perché neghino l’Europa ma perché disconoscono la patria.

Meloni attaccata perché dice “nazione” e non “Paese”

Se perciò è vero (come è vero) che la lingua è il riflesso di una identità, non v’è dubbio alcuno che quella in uso alla sinistra sia rivelatrice di una mentalità burocratico-sociologica. Aborre infatti il termine «nazione», che fonda per altro la propria dimensione “ideologica” nella Rivoluzione francese, per preferirgli quello più sbiadito di «Paese». Indica le città come «aree urbane» e briga per avere presto «genitore 1» e «genitore 2» al posto di «papà» e «mamma». Ma nulla nasce a caso. Giorgio Almirante la definiva “la guerra delle parole“. E non è incruenta. Solo che a morire non sono le persone bensì i concetti, le visioni, i riferimenti culturali e – in definitiva – la stessa libertà di espressione.

La sinistra teme di perdere l’egemonia culturale

Fare l’esame al lessico della Meloni non è solo indizio di propensione alla tortura mentale, ma suona come minaccioso invito a sorvegliare il linguaggio, a privarlo del suo slancio vitale e quindi del suo potere di coinvolgimento e di convincimento. L’altra sera, in tv, lo scrittore Emanuele Trevi auspicava l’arrivo di una Giorgia Meloni de sinistra che colmasse il deficit di passione politica che si respira da quelle parti, frutto, a suo dire, della corsa del Pd verso l’elitismo. Siamo al punto: la vigilanza sul dizionario in uso alla destra non nasce tanto dalla preoccupazione del danno (inesistente) che potrebbe derivarne alla democrazia, quanto dalla consapevolezza della sinistra di star arretrando nella guerra delle parole. Ora teme l’avvento di una nuova egemonia che spazzi via il suo incomprensibile latinorum.

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