La critica a Giorgia Meloni degli intellettuali della “buona destra” è solo frutto di malafede

26 Ott 2022 19:04 - di Vittoria Belmonte
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Cercare di confutare il discorso della fiducia della premier Giorgia Meloni utilizzando tre voci che quell’ambiente lo conoscono bene ma ne danno una interpretazione di comodo. L’operazione la fa Repubblica, interpellando tre personaggi che aderirono a Fli e seguirono Fini nel suo strappo anti-Berlusconi.

Repubblica interpella Ventura, Perina e Rossi

La prima è Sofia Ventura, che ormai da anni si esercita contro la destra identitaria invocando abiure su abiure. La seconda voce è quella di Flavia Perina, che non ha bisogno di presentazioni. La terza è quella di Filippo Rossi, oggi portavoce di Azione di Carlo Calenda.

Ma Meloni era con Fini a Fiuggi

La domanda che Repubblica rivolge è: Meloni ha fatto fino in fondo i conti con il suo passato? “Siamo andati a chiederlo a intellettuali di ispirazione liberale che si riconoscono in una destra riformista e costituzionale, la stessa che ruppe con il neofascismo nella stagione dirompente di Gianfranco Fini”. Posta così la questione sembra che solo Sofia Ventura, che al tempo di Fiuggi non c’era, Filippo Rossi, che non c’era neanche lui, e Flavia Perina, abbiano partecipato alla svolta verso la destra di governo.

La comunità di Colle Oppio non avversò la svolta

La cosa è, semplicemente, falsa. E tra l’altro non tiene conto del fatto che Fiuggi non fu una conversione antifascista della destra ma rappresentò il superamento del neofascismo con l’accettazione dell’antifascismo come “valore”. Questo c’era scritto nelle tesi di Fiuggi. E c’era già Giorgia Meloni. Così come c’era la sua comunità di riferimento, quella della Colle Oppio, che anzi anticipò per molti versi quella svolta insieme al Fronte della Gioventù degli anni Ottanta che non era una conventicola di nostalgici ma discuteva di ambiente, di femminismo, di bioetica, di nucleare, di immigrazione, di maternità consapevole.

Tutti i dirigenti del Msi appoggiarono la svolta di Fiuggi, tranne Pino Rauti

Quello era il “vissuto esistenziale” di Giorgia Meloni verso il quale Sofia Ventura, col ditino alzato, ostenta oggi disprezzo. Stupisce poi quanto afferma Flavia Perina, e cioè che  “all’epoca della svolta il suo gruppo di Colle Oppio, che è poi lo stesso che oggi governa l’Italia, veleggiava in tutt’altra direzione, ostile alle pulsioni liberal e modernizzanti all’interno del movimento”.  Una cosa fuori dalla realtà. Tutti i dirigenti – tranne Pino Rauti che non aderì ad An – accettarono infatti la svolta di Fiuggi, Colle Oppio compreso col suo leader Fabio Rampelli. Perché allora bollare quel mondo come retrogrado quando fu invece all’avanguardia su tanti temi che modernizzarono la destra? Quel mondo osteggiò Fini i tempi di Fli, è vero. Ma Perina dimentica che Adolfo Urso (che seguì Fini in Fli) è oggi ministro e Roberto Menia (che seguì Fini) è oggi parlamentare. Insomma fa finta di non capire che esiste una continuità tra l’operazione di Fini a Fiuggi e quella di Meloni che oggi afferma di avere superato il Novecento.

La citazione di Sergio Ramelli

Quanto a Filippo Rossi è un altro che non ha capito che la citazione di Sergio Ramelli prima da parte di La Russa e poi da parte di Giorgia Meloni non è un ancoraggio al martirologio missino, non è nostalgia del ghetto da parte di un mondo rimasto immobile come lui afferma, ma un consegnare alla memoria nazionale un ragazzo morto per le sue idee. Che solo La Russa e Meloni potevano citare perché altri omaggi a quel ragazzo e ai tanti come lui, loro sì messi ai margini, in quel contesto istituzionale, non sarebbero mai arrivati. Cosa dà così fastidio, allora? Erano ragazzi che militavano in quella che giustamente Meloni ha definito la destra democratica italiana, nel Msi che era rappresentato in Parlamento, che contribuiva all’elezione dei presidenti della Repubblica, che era votato da milioni di persone.

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